67° Mostra del Cinema di Venezia. Prima della prima

gli Amori di Quentin (Tarantino) e Marco (Muller)Venezia-2010
dall’inviato di Udine20.it Filippo Zoratti

Quest’anno a Venezia ci sarà da divertirsi. Sulla carta infatti la 67. Mostra d’Arte Cinematografica presenta il miglior programma (in)immaginabile, un caleidoscopio straripante Amore per la Settima Arte: gli Amori del presidente di giuria Quentin Tarantino, che porta in dote il compagno di Grindhouse Robert Rodriguez e l’amico Takashi Miike, l’uno al Lido col suo cult-movie Machete, l’altro presente con ben tre film (il samurai-action 13 Assassins in concorso e i due Zebraman, che rinnovano il legame tra la Mostra e il Far East Film Festival di Udine); e gli Amori del direttore Marco Muller, naturalmente, da Francois Ozon a Sofia Coppola, da Monte Hellman a Julian Schnabel e Abdellatif Kechiche. Fino alla passione, quella vera, quella che è stata il leit motiv della gestione Muller fin dagli esordi: l’Estremo Oriente.
Anche quest’anno la schiera dei film asiatici sarà folta, e gli occhi in particolar modo saranno puntati sul giapponese Norwegian Wood (dal libro di Haruki Murakami del 1987), sul ritorno di Tsui Hark (in concorso con Detective Dee and the Mistery of Phantom Flame) e, più di ogni cosa, sul Leone d’Oro alla Carriera riservato a John Woo, maestro cinese che ha fatto dell’eleganza dell’azione una vera e propria poetica (A Better Tomorrow e Bullet in the Head nei suoi esordi hongkongesi; Mission: Impossibile: II e il recente La Battaglia dei Tre Regni nel periodo hollywoodiano). Basterebbe guardare il programma della prima serata, per capire il mood di Venezia 67: un’apertura affidata al Black Swan di Darren Aronofsky, cui seguiranno i fuori gara Legend of the Fist di Andrew Law e l’evento Machete. Ovvero l’attaccamento mulleriano ai propri feticci (Aronofsky vinse due anni fa con The Wrestler, indimenticato capolavoro bigger than cinema), la vena di follia cinefila figlia del pulp tarantiniano (e quindi del cinema contemporaneo tutto) e il made in Far East d’essai.

La selezione italiana, vista da qui, potrebbe ancora una volta stare a guardare. O magari no, perché scorrendo il ricco programma l’impressione è un’altra. Forse gli italiani faranno (finalmente) un figurone, a partire da La Solitudine dei Numeri Primi di Saverio Costanzo – tratto dal bestseller di Paolo Giordano -, proseguendo con La Passione di Mazzacurati (storia di un regista in crisi creativa) e La Pecora Nera di Ascanio Celestini, e chiudendo col Gorbaciof di Stefano Incerti con Toni Servillo (quest’ultima opera però fuori gara).
E ancora altre schegge (impazzite), altri fondamentali frammenti completano il quadro veneziano, offrendoci una visione d’insieme eterogenea, fluida e quanto mai vitale. Come l’attesa attorno a Vincent Gallo, che con Promises Written in Water cercherà di farci capire una volta per tutte se sia un genio (lo splendore di Buffalo 66) o un cialtrone (il disastro di The Brown Bunny); la prima volta di Pablo Larrain, vincitore del Festival di Torino 2008 con l’abbacinante & dolente Tony Manero; la curiosità per le stranezza di I’m Still Here, documentario di Casey Affleck (fratello di Ben) sulla bizzarra svolta rap dell’attore Joaquin Phoenix; e poi i ritorni: quello del maestro polacco Jerzy Skolimovski, quello di Tom Lola Corre Tykwer e quello di Julie Taymor, che chiuderà il festival con The Tempest.

Difficile inquadrare con un unico sguardo l’eterogeneità di questa 67. Mostra; mentre risulta estremamente facile capirne la portata autoriale e la rinnovata autorevolezza nel panorama (sovra) nazionale. Mai come quest’anno la Mostra sembra destinata a ristabilire la propria indubbia egemonia, fra il caos (caso?) della Festa di Roma e l’eterna giovinezza (voluta) del Torino Film Festival. Grazie a Marco Muller – e sperando che Cannes non ce lo porti via – quest’anno dall’1 all’11 settembre al Lido ci sarà davvero da divertirsi.

Filippo Zoratti