Hanno imbiancato la facciata e gli interni, sistemato porte e pavimenti, pulito le aree verdi e potato alberi, prendendo in mano per la prima volta – quasi tutti – vernici, rulli, pennelli e decespugliatori. Una trentina di profughi accolti nella caserma Caverzerani hanno così contribuito, grazie alle pazienti lezioni di un artigiano edile della CNA di Udine, Luciano Martin, di 65 anni, a sdebitarsi per l’accoglienza offerta dai friulani, apprendendo un mestiere che potrebbe rivelarsi utile una volta tornati nei loro paesi.
“Baba, baba, quando ci porti il diploma? Grazie Italia” è il saluto-tormentone che i giovani stranieri (età da 20 a 35 anni, molti padri di famiglia) rivolgono ogni giorno, abbracciandolo, all’insegnante del Cef (scuola di formazione per l’edilizia).
“Ho chiesto all’interprete cosa significasse baba – racconta Luciano – pensavo mi prendessero in giro, invece significa papà, nonno, punto di riferimento che rispettano. Chi mi mostrava i bambini lasciati a casa, chi la moglie e i figli uccisi.
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