Trieste, 30 dicembre – Nell’ultima seduta dell’anno la Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato il via libera al nuovo Regolamento che, in attuazione della Disciplina organica in materia di Difesa del suolo e di utilizzazione delle acque (legge regionale n. 11 del 29 aprile 2015), indica la misura e le modalità di calcolo a partire dal prossimo 1° gennaio dei canoni demaniali di concessione relativi a qualunque tipo di utilizzo di acqua pubblica.
Il provvedimento porta la firma dell’assessore regionale all’Ambiente e all’Energia Sara Vito e, attenendosi a criteri di semplificazione amministrativa e tenendo conto della necessità di incentivare il risparmio, la tutela, l’utilizzazione razionale nonché la riqualificazione della risorsa idrica, definisce i canoni a seconda che si tratti di acqua a uso irriguo, potabile, industriale, idroelettrico, o impiegata per la pescicoltura, in malghe e rifugi alpini.
Come spiega Vito, di fatto nella maggior parte dei casi le tariffe rimangono in linea con quelle applicate finora. Le novità riguardano in particolare i canoni per le grandi derivazioni d’acqua a uso idroelettrico e quelli relativi all’utilizzo dell’acqua per la produzione industriale. “Con questo Regolamento – indica in proposito l’assessore – manteniamo fede all’impegno che ci siamo assunti con la legge regionale 11/2015, introducendo criteri di equità per venire incontro alle piccole e medie aziende, con scelte improntate al principio che chi meno consuma meno paga”, grazie anche alla previsione sia di riduzioni che di maggiorazioni, rapportare alle modalità di impiego.
Nel caso delle grandi derivazioni per la produzione di energia elettrica, anche come richiesto da una mozione approvata dal Consiglio regionale lo scorso mese di maggio, la Giunta ha disposto che i grandi produttori (quelli che superano i 3.000 Kw) pagheranno 20,00 euro/KW per tutto il 2017 e 30,00 euro/KW a partire dal 2018, invece dei 14,38 euro attuali.
“Nuovi canoni che – precisa Vito – sono assolutamente analoghi a quelli introdotti in altre regioni italiane. Ai grandi utilizzatori – continua – chiediamo uno sforzo perché riteniamo corretto prevedere che al territorio sia restituito, in termini economici, quanto prelevato in termini di acqua utilizzata. È un segnale soprattutto per le aree montane” .
Al contrario, per venire incontro alle esigenze di quelle industrie che fanno un uso di acqua pubblica esclusivamente a fini produttivi, gli importi sono stati ridotti e fissati in 600,00 euro (anziché 2.170,00) per un utilizzo fino a 2.000 metri cubi all’anno; 1.200,00 euro da 2.000 fino a 10.000 metri cubi (anziché 2.170,00). Importo questo destinato a salire per consumi maggiori. Sono una novantina, informa Vito, le aziende che beneficeranno di questa scontistica.
Ad ogni modo, come detto, a tutte le diverse tariffe si applicano delle riduzioni che possono arrivare fino al 50 per cento. Ad esempio in caso di utilizzazioni a scopo irriguo, quando il concessionario utilizzi impianti ad alta efficienza. Oppure in caso di uso industriale, qualora il concessionario restituisca l’acqua con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate e nello stesso corpo idrico di provenienza.
Lo Stato ha trasferito beni e funzioni del demanio idrico alla Regione con un decreto legislativo del 2001; spetta dunque a quest’ultima il rilascio di concessioni per l’utilizzo di beni demaniali e il conseguente introito del canone. Al momento sono stati trasferiti quasi tutti i corsi d’acqua e risultano in essere le procedure per la verifica di altri beni del demanio statale che saranno consegnati alla Regione in caso di accertata funzionalità idraulica.
ARC/PPD/fc
Powered by WPeMatico