Ieri vi abbiamo fatto sentire la testimonianza di Claudia Casu , una ragazza italiana che vive e lavora a Tokyo e che ha voluto condividere quanto ha provato in prima persona con tutti voi. Oggi vi facciamo conoscere la storia di Sara Marmo, una ragazza toscana che durante il terremoto si trovava nel suo ufficio a Tokyo. Quello che segue è il suo racconto integrale di come ha vissuto questa terribile esperienza.
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Il Venerdi’ e’ solitamente il giorno piu’ bello della settimana per me. Gia’ di prima mattina quando mi sveglio il pensiero che occorre solo un rush finale prima della prolungata pausa del fine settimana mi da un’insperata energia. Con questo spirto la mattina dell’11 Marzo alle 7:00 in punto mi alzo, lasciando K. ronfante ancora sotto il piumone. Al lavoro mi aspetta una presentazione urgente da finire, varie tabelle dati da compilare con il contenuto delle mail italiane della sera precedente, un pranzo con la responsabile dell’ufficio francese, un meeting alle 15:00 e molto altro… insomma, una giornata piena, sicuramente faro’ tardi anche stasera, penso mentre sorseggio il mio latte ed orzo davanti al pc con Musa acciambellata accanto a me…
Di corsa alla stazione e prendo per un soffio il treno delle 7:48, solito pigia-pigia mattutino e alle 8:50 sono in ufficio. Arriva merce dall’Italia e con il mio collega M. ci apprestiamo a farne l’inventario, lavoro alla presentazione di un vino abruzzese e arriva il momento di andare a pranzo con la collega N., un sushi tra chiacchiere sullo stato dell’istruzione italiana e la guida in Giappone, un caffe’ parlando di gelati e i suoi consumatori giapponesi e si fa l’ora di rientrare alla base, la torre di Tokyo ci saluta svettando tra le nuvole appena comparse a rabbuiare la citta’… e pensare che stamani splendeva un sole meraviglioso, penso un po’ delusa.
Sono le 14:43 e seduta alla mia scrivania riempio il bicchiere con un succo all’arancia rossa appena acquistato per fare una valutazione del prodotto quindi ricerca di mercato, ne assaggio un sorso e disgustata esprimo il mio disappunto al collega che mi siede di fronte. Lui sorride sornione ,,,sapeva bene che non avrei gradito…la merce e’ prodotta in Thailandia, non esattamente terra delle arance rosse sanguinelle…
Metto giu’ il bicchiere e inizio a scegliere foto per una nuova presentazione nel tranquillo silenzio generale dell’ufficio. Sono tutti impegnati e l’unico rumore che sento sono le dita che ticchettano sulle tastiere dei pc, qualche squillo di telefono, il mio capo che ride col buchou (capo) dei sales parlando di strane suonerie dei cellulari.
Tutto a un tratto mi sento un po’ strana, mi gira la testa e immediatamente do la colpa al latente raffreddore che mi trascino da una settimana ormai..poi per caso i miei occhi si posano sul bicchiere messo giu’ un minuto prima.
Il liquido rosso ondeggia sinistramente nel bicchiere, il mio senso di malessere aumenta, un quaderno cade dalla mensola, il mio calendario da tavolo precipita per terra, mi volto e guardo i miei colleghi, tutti hanno un’aria interrogativa e il mio capo ridacchia dicendo in italiano: “Ecco una bella scossettina…ci voleva proprio!”.
Rido anch’io, penso che in fondo e’ divertente sentire un onda lieve sotto i piedi, qualcosa di nuovo per me, un’esperienza geologicamente tutta da sperimentare, del resto ho gia’ vissuto simili situazioni, il terremoto in Giappone dura 3/4 secondi e poi finisce.
Ma…..
…dopo 10 secondi la scossa cresce d’intensita’, iniziano ad aprirsi i cassetti, cadono le composizioni floreali ricevute in occasione dell’anniversario della ditta, ed il mio capo smette di ridacchiare. Io, spavalda pochi minuti prima, sento il corpo irrigidirsi, le mani diventare gelate, un lieve strato di sudore freddo mi imperla la schiena. La gola si chiude in un groppo.
Il presidente apre la porta della sua stanza e chiama il responsabile dell’amministrazione, ordina di mettere in salvo alcune preziose bottiglie di vino, intanto si precipita a bloccare un raro ukiyoe che era appeso al muro. Era.
La scossa non accenna a diminuire di intensita’..anzi…i volti si fanno scuri, qualcuno grida “Kore ha yabai naaa” (Wow, questo fa sul serio!), oppure “Kore ha okkinee….abunaiyo!” (Questo e’ grosso… occhio, e’ pericoloso!).
Io penso a K., dove sara’ in questo momento?
Mentre tutto trema sempre piu’ forte intorno a noi il presidente corre nella stanza accanto con un’espressione seriamente sconvolta, molte ragazze iniziano a urlare, alcuni si riparano sotto alla propria scrivania, un paio di ragazze piangono disperate. In un flash mi vedo sotto alle macerie di un palazzo, di me solo un braccio, il corpo intrappolato sotto ad una polverosa, bianca tavola di legno che in origine era la mia scrivania, ormai maceria. In un istante realizzo che il mio cellulare e’ scarico. Ca**o, sono davvero la peggio.
Passano 3 minuti ma sembrano interminabili. La scossa si arresta, tutti si collegano ai propri siti di informazione di riferimento, in Giappone qualcuno ha gia’ messo video su YOUTUBE, in Italia la notizia e’ gia’ arrivata, del resto laggiu’ sono le sette di mattina…
Sappiamo che una nuova scossa puo’ arrivare da un momento all’altro e noi ci troviamo in uno dei posti meno sicuri dell’edificio, i piani centrali tra cui il quarto, sono i primi ad essere schiacciati dal peso dei piani superiori pertanto ci affrettiamo per le scale (l’ascensore e’ chiaramente fuoriuso) e in un attimo siamo in strada, con noi migliaia di persone.
Le scosse riprendono quasi subito, non potenti come la prima ma di forte intensita’, camminiamo al centro della strada con la testa costantemente rivolta verso l’alto per prevedere crolli improvvisi, un senso di pericolo mi invade, in fondo nel mio ufficio mi sentivo piu’ al sicuro, ma dobbiamo raggiungere il vicino parco di Shiba al piu’ presto, laggiu’ ci sono meno probabilita’ che ci caschi in testa qualcosa.
Dopo un’ora di chiacchiere ansiogene tra colleghe, in mezzo a migliaia di impiegati con l’elmetto d’emergenza che hanno avuto la nostra stessa idea, decidiamo di rientrare in ufficio: la terra si e’ calmata, probabilmente e’ tutto finito. A causa delle scosse continue e del freddo avverto un forte senso di nausea. Ho bisogno di sedermi un po’, in un posto caldo.
Ma in ufficio la situazione non migliora, il pavimento sotto ai nostri piedi oscilla ad intervalli irregolari e siamo tutti al telefono cercando di comunicare con i nostri amici, familiari, per conoscere le loro condizioni. La scossa e’ stata forte ma nessuno di noi e’ stato ferito, il rischio esiste effettivamente nel caso in cui qualche malcapitato si sia trovato vicino ad edifici pericolanti (molto rari a Tokyo) o vecchi pali dell’elettricita’ non ben fissati al suolo o rami di alberi… mi auguro che Kei sia al sicuro nel suo ufficio.
Lascio messaggi su FB e invio e-mail a mio padre e mio fratello visto che non pare possibile telefonare in Italia, la linea e’ troppo congestionata, poi, grazie alla posta elettronica riesco a contattare Kei, un breve scambio di e-mail e alle 6 e mezzo, dopo innumerevoli scosse e una forte nausea causata dall’instabilita’ del terreno, decido di lasciare l’ufficio e andare a piedi fino a Ningyoucho, dove c’e’ l’ufficio di mio marito. I treni sono tutti fuori servizio, il traffico e’ in tilt e gli autobus non avanzano.
La ditta mi offre la possibilita’ di dormire in albergo per la notte visto che abito lontano ma decido di andare da K., non voglio stare qui un minuto di piu’. Cosa abbastanza stupida, se ci si pensa, molto meglio stare al sicuro in un palazzo moderno ed anti-sismico che correre per le strade col rischio di vedersi arrivare una tegola in testa!! Ma certe decisioni si prendono con la pancia e ringraziando il cielo per aver messo stivali bassi la mattina, riempio la borsa di viveri (crackers, cioccolatini, barrette energetiche sempre presenti nel mio cassetto ^__^) e corro fuori.
La terra trema mentre ho il passo svelto, un freddo pungente mi taglia la faccia, la visiera del cappello mi impedisce di vedere bene, ma non oso togliermelo, fa troppo freddo…allora assumo una posizione alquanto scomoda….col naso veramente in su….povero collo. Il fatto e’ che DEVO vedere quello che succede sopra alla mia testa, non ho nessun casco protettivo…
Per orientarmi decido di seguire la mappa della metro che porto sempre con me, partendo dalla stazione alla quale scendo tutte le mattine seguo la direzione di quella precedente e cosi’ via…praticamente seguo a ritroso il percorso della linea Hibiya (quella grigia) che mi potrera’ dritto a Ningyoucho, dove mi aspetta K. Ci mettero’ circa due ore. GAMBE IN SPALLA!! Ringrazio i due mesi di piscina e i quattro di bici giornaliera che hanno rafforzato il mio quadricipite sinistro…altrimenti il mio povero ginocchio con un elastico spezzato (il legamento crociato) crollerebbe presto…ma sento che ce la fara’!
Un fiume di persone sta abbandonando gli uffici, ognuno e’ diretto verso una propria meta, con caparbieta’ e a passo svelto (molti correndo) si mettono in fila e sui marciapiedi formano una corrente omogenea di teste incappucciate o con l’elmetto che ordinatamente e silenziosamente avanza. Senza panico. Solo tenace caparpieta’ zen. Come a dichiarare al mondo: IO. DEVO. ARRIVARE. LAGGIU’. Ma senza calpestare i piedi altrui, senza sgomitare, senza bloccare il traffico, senza urlare, senza generare confusione.
Comunicare e’ difficile, non c’e’ campo per i cellulari e l’unica via sono i telefoni pubblici dove la gente fa la fila.
Penso all’italica verve che ci contraddistingue in simili situazioni e mi scappa da ridere, mi fermo a osservare un astuto commerciante di articoli sportivi che ha allestito un banchino all’esterno del suo negozio per vendere scarpe da corsa made in China alla modica cifra di 900 yen (circa 9 euro): numerose OL (office ladies) giapponesi con caviglie doloranti fanno la fila nell’attesa di acquistare il loro numero e riporre le proprie graziose chanel tacco 10 in un sacchetto della spesa, almeno fino all’arrivo a destinazione. Ah, Giappone, l’anima del commercio!
Dopo un’ora sono a Ginza, le luci della citta’ sono le solite, i turisti anche ma hanno volti sconvolti e soprattutto non riescono a capire dove andare… seguire la massa verso Nord o rifugiarsi da Zara? Penso che potrei fare una capatina da Itoya (giuro… l’ho pensato…si lo so, sono malata) ma il mio cervellino mi riporta alla realta’ e mi sculaccia col pensiero.
A Ginza un’inversione di marcia, il Nord piega a destra…una gentile poliziotta in bici mi indica la stella…mi inchino e proseguo la marcia allungando il gambo (cit.) nel frattempo sgranocchio il mio pacchetto di crackers. E’ incredibile, la terra sotto i miei piedi sta probabilmente tremando ancora (mentre ci si muove ci se ne accorge meno, lo sapevate? Sapevatevelo (cit.)) e io sgranocchio i miei crackers contenta che sia venerdi’ e che presto saro’ da K., questa fiumana di bonzi mi ha infuso una grande serenita’, il Giappone, un grande popolo.
Cioe’, per spiegarmi meglio…SOLA in mezzo a una metropoli di milioni di abitanti, con milioni di persone per strada e nessuno si accalca, nessuno si calpesta, nessuno grida, nessuno coglie l’occasione per sciacallare e io mi sento SICURA, come avvolta da una massa di angeli che so puo’ aiutarmi in caso di difficolta’, alle persone che fermo per la strada per chiedere informazioni non manca mai un bel sorriso, si, anche in questa sera fredda e inquietante. Ditemi voi se questo non e’ un grande popolo.
Dopo due ore arrivo a Ningyoucho, Kei non e’ nel suo ufficio come ha promesso, e’ uscito a cercarmi!! Ma dove, perdio? Oh..questi uomini. Dopo mezz’ora rientra trafelato e spaventato per non avermi scovata fra milioni di persone…ma va? E’ rincuorato a vedermi seduta alla sua scrivania con un calice di rosso di Borgogna in mano (in ditta hanno colto l’occasione per fare una piccola festa con i vini rientrati da una spedizione francese)….Giappone-Francia 1-0.
Nuovi rifornimenti in ufficio: tre bicchieri di Borgogna buttati giu’ in fretta, due sottilette e tre cioccolatini, salutiamo i miei ex colleghi e la scala buia di servizio e’ l’anticamera della nuova avventura verso Kodenmacho, direzione Nord. K. e’ stato sfortunato, ha messo le scarpe belle ma scomode e spera di trovare un altro scaltro venditore ambulante di scarpe da corsa ma niente da fare…stringe i denti e marcia con me. Il fiume di gente ci accompagna costantemente, alcuni ragazzi hanno improvvisato un bivacco, un hanami anticipato sotto un albero davanti a un palazzo bevendo birra e scherzando. Altri impiegati si prendono in giro a vicenda spintonandosi e parlando in cerchio, un gruppetto di ragazze con coperte in testa (ripeto, fa un freddo boia e questa gente e’ fuori da ore) e scarpe da ginnastica sotto tailleurs da ufficio cantano una smielata canzone di Hirai Ken. Io e K. ci stringiamo la mano e sorridiamo nel riverbero della sera metropolitana, siamo insieme e del resto non ci importa. Tutto questo nella marcia dei milioni della capitale.
A Ueno iniziano a farci male le gambe e i piedi, K. si ferma a comprare un te’ caldo, io faccio stretching, ci aspetta ancora meta’ strada!
Dopo KitaSenju il fiume si disperde, siamo ormai nella periferia di Tokyo e ognuno prende direzioni diverse,,,ci ritroviamo stanchi e affamati cosi’ ci fermiamo a comprare una piadina naan indiana, e mentre aspettiamo che sia pronta, dentro al locale la terra trema ancora.. ho la sensazione di esser scesa dall’ottovolante che fa il giro della morte..solo che non passa subito…persiste e io non riesco a caminare diritta..barcollo piu’ del solito (che gia’ ho problemi d’equilibrio di mio, io!).
A 2 km da casa e’ gia’ mezzanotte e mezzo e siamo davvero distrutti..il fatto e’ che non siamo equipaggiati per camminare tanto (in tutto circa 25 km) (le scarpe sono fondamentalmente quelle sbagliate) e abbiamo i piedi pieni di vesciche…un taxi che miracolosamente si ferma nonostante sia fuori servizio (ci credo pero’…mi ci sono quasi buttata davanti! Gli saro’ sembrata uno zombie, al tassista!) ci porta a casa in un attimo…ringraziamo, la portiera si richiude automaticamente alle nostre spalle.
A casa lo scenario e’ questo: cassetti aperti, libri crollati dalle mensole, lavatrice spostata in avanti di 20 cm, cosi’ anche il frigorifero, lo specchio in camera caduto per terra (e senza incrinature!!!! anche quello piccolo del bagno…salvo!! trattasi di puro CULO) vari oggetti caduti ma nessun danno, siamo fortunati perche’ l’appartamento e’ all’ottavo piano, quindi qui si “balla” di piu’!!!
Musa, la nostra micina, e’ spaventata e ci miagola contro come se volesse raccontarci la sua esperienza solitaria, continuera’ tutta la sera, come a chiedere conferma che non la lasceremo piu’ sola quando la terra si muove sotto alle sue zampine. Un lauto pasto a base di croccantini pare calmarla un po’ e anche i grattini sulla testolina la riportano un po’ alla normalita’.
La sensazione di sfasamento continua, e’ come stare su una barca in mezzo al mare, ma non fa nulla, siamo salvi e in fondo non c’e’ successo proprio niente di male. Il pensiero va ai 1400 morti e piu’ della costa che si sono visti arrivare un’onda anomala di 10 metri. Le loro case non esistono piu’, alcuni lavoravano su pescherecci, altri sulla spiaggia, altri erano semplicemente troppo vicini al mare e il piano di evacuazione non ha avuto il tempo materiale di potersi realizzare, neppure per gli efficienti, rapidi giapponesi.
Il terremoto piu’ grande della storia giapponese, quello che vi ho raccontano dal mio punto di vista, per quello che ho vissuto in prima persona, e’ stato un evento del tutto imprevedibile e purtroppo e’ quello che il Giappone e’ destinato a subire per la sua conformazione geologica. L’instabilita’ della vita, di tutte le cose del mondo, e’ nel DNA di queste persone che hanno imparato con l’esperienza a vivere tutto come se fosse la loro ultima grande occasione, da godere a fondo, senza risparmiarsi mai.
Che riposino in pace tutte quelle povere anime portate via dall’Oceano. Domani si ricostruisce. Dopodomani sara’ tutto nuovo e pronto per andare avanti e vivere senza guardare indietro.
Concludo con un proverbio giapponese che amo molto e che nei momenti difficili cerco di fare mio…questo e’ quello che mi auguro succedera’ alle persone colpite da questa tragedia e che si realizzera’ senz’ombra di dubbio. Perche’ i giapponesi sono fatti cosi’.
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