I tempi cambiano. L’evoluzione incalza. La globalizzazione regna.
E, a volte, anche nel piccolo della tua quotidianità, ti trovi a fare i conti con tutto questo: con qualcosa, cioè, che non ti aspettavi, perché pensavi di vivere ancora in una piccola realtà, in una sorta di oasi felice.
Non è così.
E non perché lo dicono i terribili fatti di cronaca sbattuti, senza mezzi termini, sui telegiornali a tutte le ore.
E’ così perché nella più classica delle riunioni della più classica delle scuole elementari – pardon oggi si chiamano scuole primarie – ad essere posti sotto osservazione non sono i bambini con i loro progressi nell’apprendere, ma siamo soprattutto noi genitori, a cui viene spiegato che le cose non sono come saremmo portati a pensare, che non sono magari come le ricordavamo noi (anche se quando eravamo noi i bambini non era proprio preistoria), che siamo in stato di emergenza e che bisogna correre ai ripari.
Emergenza educativa.
Dalle famiglie sempre più diverse nella loro composizione e sempre più stritolate dai ritmi incalzanti del lavoro e dalle difficoltà di ogni giorno escono in numero purtroppo crescente bambini fragili e problematici, che la scuola, sempre più sforbiciata da tagli e riforme contraddittorie, fatica a seguire nel modo più adatto.
E non si tratta solo dei figli degli immigrati, ma dei nostri figli, dei figli di tutti.
Bambini insicuri, bambini violenti, bambini chiusi in loro stessi, bambini iperattivi, bambini che soffrono perché, troppo spesso, problemi più grandi di loro li precipitano nella dimensione degli adulti prima del tempo, bambini vittime, fin dalla giovane età, di compagni più forti.
Non è facile essere genitori oggi.
Non è facile trovare un equilibrio educativo: a volte concediamo loro troppe libertà, oppure li proteggiamo troppo…
Dove sta la via d’uscita?
E’ tutto così nero?
Credo che una delle cose fondamentali sia riscoprire la necessità e la forza del dialogo.
Dialogo fra genitori e figli, fra genitori e genitori, fra genitori ed educatori, fra educatori e bambini.
Prendersi un attimo di pausa e parlarne.
Viviamo in un mondo dove questo si sta perdendo.
E’ un paradosso.
Nella società dei social network, dove sembra che tutti parlino di tutto con tutti c’è tanta solitudine.
Perché?
Perché è un dialogo sì, ma senza guardarsi negli occhi.
Guardare negli occhi un bambino può dirci molto, sedersi e parlare con lui può essere il primo passo per riprendere il cammino con maggior sicurezza, per riannodare fili spezzati, per evitare di spezzarne altri.
E voi? Cosa ne pensate? Sentite anche voi questo problema?
Come sempre vorrei sentire la vostra.
Pensieri e parole di una mamma a spasso nella rete. Tutti i giovedì su www.udine20.it
Cristina oltre a scrivere questa rubrica tutti i giovedi su Udine20 ha un suo blog: http://udinelamiacittaenonnapina.blogspot.com/