Fukushima, tre anni dopo. L’emergenza nucleare continua. Ma a nessuno, nemmeno in Giappone, sembra interessare granché. E ora qualcuno dice che l’acqua contaminata, anziché accumularla in serbatoi “colabrodo”, tutto sommato si potrebbe scaricare in mare. “E’ una decisione più politica che scientifica” dice Dale Klein, ex capo della Commissione di Vigilanza Nucleare Usa. (Pio d’Emilia)
A 3 anni dalla più grave catastrofe nucleare civile dopo Chernobyl, a Fukushima ancora si lotta per contenere le fuoriuscite di acqua radioattiva dai reattori danneggiati dal terremoto e dallo tsunami del 2011.
I livelli di radioattività sono diminuiti nell’area, si può arrivare all’ingresso della centrale senza protezioni, ma superati i check point bisogna vestirsi con tute di tyvek, casco, tripli guanti, doppie calze, maschera respiratrice. Il dosimetro segna 80 microsievert l’ora. La zona “proibita” vicino alla centrale si è ristretta da 30 a 5 km. C’è poi una fascia di rispetto dove gli abitanti possono andare alle loro case, sa solamente di giorno, senza fermarsi a passare li la notte
Migliaia di tonnellate di acqua contaminata da gestire. Il primo ministro Abe: faremo ripartire le centrali nucleari.
Il problema dell’acqua radioattiva è ancora quello più pressante. La Tepco e il governo vogliono convincere l’opinione pubblica ad accettare l’idea del rilascio controllato nell’oceano di ampie quantità di acqua dopo un trattamento che elimini la maggior parte dei materiali radioattivi secondo standard internazionali
Servizio del giornalista Pio d’Emilia, inviato di Sky TG24 a tre anni dalla tragedia
Per non dimenticare…