Alessandro Spadotto, carabiniere rapito in Yemen sarà liberato

Alessandro Spadotto, il carabiniere italiano rapito nei giorni scorsi in Yemen, sarà liberato “domani” o “al massimo dopodomani”: parola del rapitore, un noto bandito della regione petrolifera di Maarib, a est della capitale Sanaa, che afferma di non avere richieste da fare all’Italia e che il sequestro “è solo un modo per fare pressione sul governo yemenita” per questioni “personali”, non politiche. Il sedicente rapitore, Ali Nasser Hreidqan, è sostenuto dal suo clan tribale dei Jalal, già autori in passato di rapimenti a danno di stranieri per risolvere controversie col governo centrale di Sanaa. Spadotto, 29 anni, addetto alla sicurezza della locale ambasciata italiana, era stato rapito in circostanze ancora da chiarire il 29 luglio scorso. Le autorità yemenite avevano subito informato il governo italiano dell’identità dei rapitori, guidati da Hreidqan. “Non ho nessuna richiesta da fare all’Italia, e il rapimento dell’italiano è solo un modo per fare pressione sul governo yemenita”, ha dichiarato in una telefonata all’agenzia yemenita Maareb Press riportata oggi. Hreidqan ha spiegato che le sue richieste “sono personali, tra me e lo Stato yemenita”. L’uomo ha detto che “sono in corso mediazioni tra esponenti tribali per risolvere la questione” e che “domani o al massimo dopodomani” Spadotto sarà liberato. Il carabiniere, originario di San Vito al Tagliamento (Pordenone) e in forza al 13/mo battaglione di Gorizia, “sta bene, ha telefono e Internet ed è provvisto di ogni comodità, più di quelle che avrebbe in Italia”, afferma Hreidqan. Proprio ieri Spadotto era riuscito a inviare un SMS alla sua ragazza in Italia rassicurandola sul suo stato di salute. Il rapitore ha poi smentito di appartenere a organizzazioni terroristiche o partiti politici e ha chiesto alle autorità del suo Paese che venga “annullato il suo divieto di espatrio” e che gli venga restituito il denaro “sottratto durante la prigionia”. L’uomo era stato arrestato a gennaio scorso con l’accusa di aver ucciso alcuni militari governativi. Era stato poi liberato in cambio del rilascio di un operatore norvegese dell’Onu rapito da uomini del suo stesso clan tribale.