Alle 21 in punto la ola fa il giro degli spalti del Nereo Rocco mentre dal prato, assiepati ordinatamente, i fans più accesi levano le braccia al cielo: il popolo degli appassionati di Bruce Springsteen è impaziente di vedere il proprio idolo esprimersi davanti a loro, dal vivo finalmente. Poi alle 21,20 si spengono le luci e lo stadio si riscalda, quando un minuto dopo The Big Boss appare sul palcoscenico il Nereo Rocco conosce il boato forse più imponente della sua storia. Non c’è bisogno di preliminari, di riscaldamenti con Bruce: “Mandi Trieste – urla – dobro dosli” e il catino zeppo è già suo. Un misunderstandig che ha del clamoroso visto lo spiccato campanilismo che accende Udine e Trieste. The Boss due anni fa salutò Udine, a soli 80 km da Trieste, proprio con “Mandi Udine”. A Trieste il friulano è una lingua che non viene assolutamente parlata (ndr)
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Cadono i confini e sale l’adrenalina, da qui a Minsk, a Vienna è una sola lingua, una sola voce. La prima canzone è una Badland meno veloce che su vinile, la temperatura è alta, il re dei rocker si può permettere di passeggiare sulle teste dei fans, lasciarsi sfiorare sulla passerella che va verso il pubblico come se fosse al culmine della manifestazione. E analogamente, già “tira” il pezzo, incita la folla che secondo un accordo tacito e atteso, accoglie l’invito e canta al posto suo. Lui, il volto contratto nelle note smorfie, è già lì a “zappare” sullo strumento con quel gesto energico che lo contraddistingue. La E-Street Band è una macchina da musica, non sbaglia un colpo e mitraglia note con una precisione tale che se non ci fosse uno strato di passione che aleggia tutto intorno si penserebbe a ingegneri del suono più che a musicisti. Una E-Street che sa addolcire il rock teso quando entrano nell’arena delle note la corposa sezione di fiati e l’altrettanto intensa parte corale. Dal rock lo scivolamento nel soul è impercettibile, oleoso. Voci nere: “Do you feel the spirit?” chiede il boss. Non ha bisogno di una risposta. Eroe senza tempo, quando si lascia cadere a terra viene in mente una uguale scena di tanto tempo fa. “Ho 35 anni e non ce la posso fare” urlava all’epoca nel microfono fingendo di essere spossato. Ne sono trascorsi quasi altrettanti da allora ma lui sembra oggi quasi più giovane. Perché salta, corre e non si arresta, una canzone infilata nell’altra, non deve esserci tregua nello show. “Manca qualcuno” invoca, e aggiunge “la vostra voce”: l’urlo sembra far galleggiare lo stadio. Rocker, tradizionalmente americano, immancabile una nota familiare, anche questa in italiano: “Patti è rimasta a casa, con i figli. Ma vi saluta tutti”. “Jack of all trades”, intimista e lenta, non è casuale, riporta all’impegno. Lui la introduce così: “In America i tempi sono stati molto duri, la gente ha perso il lavoro. So che qui è durissimo e il recente terremoto ha contribuito a questo. Questa è canzone per quelli che lottano”. Quando tra la folla fa per sollevare un ragazzino, gli resta in mano una delle piccole scarpe da tennis, e con quella, come fosse la bacchetta di un maestro, lo guida mentre il piccolo, per niente intimorito prosegue da solo a cantare “waiting in a sunny day”, e che importa se è stonato e rauco: è il suo momento di gloria, lo vive appieno. “johnny 99″ già veloce originariamente diventa un tirato rock con intarsi Anni ’60” al piano con tanto di sfilata dell’intera band (escluso il drummer) sulla passerella. Bruce si spinge tra le braccia tese, si inginocchia davanti alla sua folla, si lascia coccolare. Da giurarci che ci sarà chi per un bel po’ non laverà la mano che l’ha toccato, non asciugherà la fronte dalla goccia di sudore che l’ha beatificato. Tra questi senz’altro il sindaco di Trieste, Roberto Cosolini, fisico alla Clarence Clemons (pace all’anima sassofonista sua), 45 concerti del Big Boss seguiti e uomo di parola, nella Venezia Giulia si dice che aveva preso l’impegno elettorale che avrebbe portato il Boss in piazza Unità d’Italia. Trieste non è soltanto la terza e ultima tappa dell’incursione del Big Boss in Italia, è quella più internazionale. Perchè dei 30 mila presenti almeno la metà è “scesa” a Trieste, nell’ordine, da Slovenia, Croazia e Austria; e dei 15 mila almeno tremila sono arrivati dall’area balcanica e, in ordine sparso, da vari Paesi dell’Est. Senza contare i gruppetti partiti da addirittura fuori continente: Iin otto dall’Australia, in quattro da Singapore, una coppia da New York e poi da vari altri luoghi. (ANSA – De Filippo)