La “Messa dello Spadone”, che si celebra il giorno dell’Epifania a Cividale del Friuli nel Duomo cittadino, è un rito religioso di cui non si ha ancora una precisa documentazione che ne indichi l’origine e il significato. Nel tempo, diversi storici hanno cercato di svelare il “mistero” che avvolge questa antica cerimonia con diverse interpretazioni, spesso frutto di una fervida fantasia. Di sicuro si tratta di uno dei riti liturgici più singolari e suggestivi che la Chiesa ha conservato.
L’appellativo “dello spadone” deriva dal fatto che, durante la cerimonia liturgica, fa la sua comparsa una spada, appartenuta al Patriarca Marquardo di Randeck, che il Diacono usa, in diversi momenti, sollevandola e fendendo l’aria in segno di saluto o benedizione, quando si rivolge al clero disposto nel coro e ai fedeli. La tesi più accreditata è quella che vuole dare alla cerimonia il doppio significato liturgico e politico, in quanto celebrata dal Patriarca all’atto del suo insediamento. Il Patriarca, infatti, era anche uomo d’arma in quanto deteneva il potere “temporale” di un vasto territorio: il Patriarcato d’Aquileia. Questa tesi può essere ulteriormente avvalorata dal fatto che il Diacono, con in testa un elmo piumato, durante alcuni momenti del rito impugna con la mano destra la spada e con la sinistra l’Evangeliario. La messa ha inizio con la processione del clero che esce dalla sacrestia secondo un preciso protocollo: il primo ad uscire è un chierichetto con una croce astile in argento, ai suoi lati due ceroferari con i loro candelieri; seguono i canonici ( un tempo una quarantina) con la cappa magna e le insegne di conti di Tolmino; il Suddiacono e il Diacono con in testa l’elmo piumato, la spada impugnata con la destra e l’Evangeliario appoggiato al petto sorretto con la sinistra; il celebrante con a fianco il maestro delle cerimonie seguiti da altri chierici che chiudono la processione. Salita la gradinata che porta al presbiterio, tutti si arrestano davanti all’altare (sormontato dalla famosa Pala d’argento dorato del Patriarca Pellegrino I), si voltano verso l’assemblea e il Diacono si fa avanti sino al limite della gradinata e con la spada vibra tre colpi in aria in segno di saluto o benedizione. Il celebrante si avvia all’altare e i canonici dell’insigne Collegiata di Cividale prendono posto nel coro. Il Diacono consegna la spada e l’elmo a due chierici mentre il libro dei Vangeli viene deposto sul leggio. La Messa sino all’Epistola si svolge in rito Romano. L’Epistola è cantata dal Suddiacono in antica melodia aquileiense. Prima della lettura del Vangelo il celebrante incensa il Diacono che si rimette l’elmo, prende la spada e L’Evangeliario e, accompagnato dai chierici e dai ceroferari, si porta nuovamente al sommo della scalinata per ripetere i tre fendenti di spada in aria. Successivamente il Diacono si toglie l’elmo e consegna la spada per poter incensare il libro del Vangelo e cantare il Vangelo epifanico secondo le modulazioni del rito patriarchino aquileiense, in cui trovano unione solennità di tono e melodia gregoriana. Al termine del canto, il Diacono ritorna sulla cima della scalinata per ripetere il saluto con la spada e cantare, sempre con intonazione aquileiense, l’annuncio delle festività liturgiche che culmineranno nella Pasqua. La parte rimanente del rito non ha variazioni rispetto alle comuni liturgie. Alla fine il Diacono, sempre con elmo e spada, al canto dell’ Ite Missa est, saluta i fedeli con tre poderosi colpi di spada. Il corteo si ricompone e discende la scalinata per tornare in sacrestia. Tutta la cerimonia è accompagnata dai canti e dalle musiche della Cappella Musicale del Duomo. L’EVANGELIARIO L’Evangeliario, che viene adoperato esclusivamente per la Messa dell’Epifania, è un codice del XV secolo. Oltre al Vangelo epifanico contiene anche quelli letti durante le maggiori solennità della Chiesa. La sua copertura (cm. 27×19) è in lamina d’argento sbalzata con tracce di doratura ed è applicata su una tavola di legno rivestita di velluto rosso scuro,. La parte anteriore racchiude, entro una cornice ornata di fogliami disposti entro girali a forma di esse, la scena della “Crocifissione”. Il Cristo, con i piedi distaccati e inchiodati su un largo supporto, ha il corpo leggermente incurvato sulla destra, le braccia sollevate ed il capo nimbato reclinato sulla spalla. Gesù è affiancato da Maria e Giovanni i atteggiamento di profondo dolore. Al di sopra, due angeli completano l’iconografia della sacra rappresentazione. Sopra la croce, entro una tabula, in lettere greche vi è abbreviato il nome di Cristo: IC XC. Sette borchie ad elice fissano la placca al legno. Sulla tavola posteriore è posta una cornice, deteriorata dal tempo, simile a quella della parte anteriore, con due borchie poste al centro. La copertura sembra però anteriore al manoscritto che racchiude e gli storici dell’arte l’assegnano al XIII secolo. Questa venne probabilmente applicata al nostro codice dopo averla tolta da un altro testo sacro non più utilizzabile per la sua vetustà. L’Evangeliario fu ricopiato da un testo più antico dal presbitero Valerio d’Alba nel 1433, quando era vicario curato della Chiesa di Santa Maria di Corte, sita non lungi dal Duomo. Alla fine del codice, infatti, si legge: “Completum est hoc opus Evangeliorum per me Presbjterum Valerium de Alba clericus Cracoviensis diocesis vicarius ecclesiae Santa Marie de Curia. Anno ab incarnatione Domini millesimo quadrigentesimo ticesimo tertio.” LA SPADA La spada, di forma tedesca e lunga cm. 109 (i Cividalesi la chiamano “spadone”) appartenne a Marquardo von Randeck, Patriarca dal 1366 al 1381 Il suo nome è inciso sulla guardia dell’elsa, di ottone argentato e finemente lavorato, che riporta anche la data della sua investitura a Patriarca di Aquileia: 6 luglio 1366 “AN° MCCCLXVI DIE VI IVL – TEMP.RE MARQVARDI PATR.” Dopo la cerimonia la spada viene riposta in una guaina di cuoio rivestita di seta bianca. L’ELMO L’elmo, di foggia cinquecentesca, è di cartone rivestito di cuoio riccamente decorato. Ha come cimiero un dragone e, sulla fronte, tra due campi rossi ed in mezzo ad una foglia d’acanto, reca l’immagine di Santa Maria Assunta, titolare della Basilica. E’ reso ancor più appariscente da piume di colore rosso, bianco, giallo e azzurro.