Ferisce la dignità dei bambini e il loro sentimento di riservatezza la maestra che ordina ai piccoli allievi, già sottoposti alla perquisizione di zaini e tasche, di spogliarsi per verificare che addosso non abbiano i soldi scomparsi a una bidella. Per questo la Cassazione ha confermato la condanna a venti giorni di reclusione per violenza privata nei confronti di Rosa Giovanna R., una maestra della scuola elementare Montessori di Sanremo che, nel novembre 2005, riservò questo trattamento agli alunni di quarta dopo che l’assistente scolastica si era lamentata perchè dal portafoglio cadutole a terra non c’erano più i settanta euro che aveva. Scrive infatti la Suprema Corte – sentenza 47103 della Quinta sezione penale, presidente Gaetanino Zecca – che se per la prima parte delle perquisizioni, quella più soft relativa a zaini e tasche, la maestra potrebbe essere scusata perchè poteva pensare di aver agito nell’ambito dei poteri disciplinari per far capire agli alunni quali sono le azioni che non devono compiere, tale giustificazione non può essere concessa per l’ordine di denudamento. Questa viene considerata una coercizione la cui gravità non può sfuggire a chi lo impartisce. Ad avviso della Cassazione, correttamente quindi la Corte di Appello di Genova “ha escluso la consapevolezza della illiceità della condotta quanto all’attività di verifica dei beni degli alunni, per ravvisarla invece in un comportamento che incidendo sulla dignità e riservatezza personale degli stessi, si connotava in termini di ben diversa gravità, immediatamente percepibile anche da parte di chi poteva, in relazione al primo segmento di condotta, avere erroneamente ritenuto di agire all’interno dei poteri disciplinari finalizzati ad un retto comportamento scolastico”. Spiegano gli ermellini che sebbene sia identico l’obiettivo perseguito con “l’attività di perquisizione dei beni e quella di ispezione degli alunni”, lo stesso non può dirsi quanto alla “materialità della condotta e della natura dei beni sacrificati”. Insomma un conto è rovistare tasche e zaini, controlli sui quali si può chiudere un occhio, mentre altra cosa, inescusabile, è sottoporre bambini a ispezioni corporali. La maestra condannata, nel novembre 2005, “aveva costretto gli alunni a restare in slip e canottiera, mediante minaccia consistita nel condurli a due alla volta all’interno del locale utilizzato dal personale scolastico e nell’intimare loro di togliersi i vestiti”. Assolta invece per non aver commesso il fatto un’altra docente, Piera P., condannata in appello con verdetto del cinque giugno 2012, anche lei a venti giorni.
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