Il dramma di Piermario Morosini ha riaperto, in parte, le discussioni sugli interventi da effettuare per prevenire a livello medico questo tipo di situazioni. Ma l’Italia è già all’avanguardia, con il Coni che da anni impone screening completi ogni sei mesi e sottopone i calciatori a ferrei test per recuperare l’idoneità agonistica. La verità è che, a volte, contro il destino nessuno può davvero nulla.
L’autopsia di lunedì chiarirà se sia stato un problema cardiaco o uno di natura neurologica, fatto sta che non poteva essere prevenuto il malore che ha colpito Piermario Morosini. Tutti i giocatori che giocano a calcio a livello professionistico, sono sottoposti a due screening completi all’anno, ogni sei mesi, che permettono o meno di consegnare un certificato di idoneità all’attività fisica. E ogni volta che accade un trauma, di qualsiasi natura (si pensi, per facilitare il concetto ai casi più famosi di Antonio Cassano e Gennaro Gattuso) e che mette in dubbio l’integrità dei giocatori, l’idoneità viene ridata solamente dopo ulteriori test e analisi.
In Inghilterra, ad esempio, non vi è questo obbligo che in Italia è stato voluto dal Coni e che permette un monitoraggio capillare sugli atleti. Non solo, perchè si sono fatti passi da giganti anche nella ricerca medica sportiva e sono aumentati i mezzi e i modi di pronto intervento nei vari campi di calcio. Non solo di Serie A, ma anche nei campi di periferia dalla Serie B a quelli di Lega Pro, con ambulanze, personale medico e defibrillatori.
Eppure, tutto ciò potrà permettere qualche miracolo (basti pensare al caso del giocatore Fabrice Muamba il centrocampista del Bolton, salvato per l’utilizzo immediato del defibrillatore in campo e delle costanti cure mediche immediate), ma mai debellare la morte improvvisa dei giocatori. In questo senso, le statistiche parlano chiaro: ciò che è avvenuto a Piermario Morosini, accade ad un calciatore ogni centomila. Una media bassa che se, si proietta il dato al numero di chi pratica questo sport in Italia, diventa altissima. Non si può pensare, dicono gli esperti, a screening di massa, nè a ulteriori controlli medici più di quanto non siano monitorati i calciatori, tra gli atleti professionisti più controllati. Ma non si può compiere nemmeno una caccia generale alle streghe, mettendo a disagio tutti gli altri calciatori che oggi, davanti a quanto successo a Piermario Morosini, si sentono nudi ed indifesi. Ciò che è accaduto, accadrà ancora. Sempre. Senza rimedio.