Influenza o Covid è più facile essere contagiati in inverno che in estate. Questo a causa dell’umidità relativa che all’esterno è più alta in inverno che in estate. I modelli attualmente utilizzati (basati su studi degli anni ‘30 e ‘40 del ‘900) assegnano un alto rischio di contagio solo alle gocce grandi, ipotizzando che quelle piccole evaporino velocemente e presto scompaiano. Tuttavia, una ricerca internazionale condotta dalla Technische Universität di Vienna e dalle università di Padova e Udine dimostra che a causa dell’alta umidità dell’aria che emettiamo e dal vapore prodotto dalle stesse gocce che evaporano, anche le gocce piccole possono rimanere sospese in aria molto più a lungo, virtualmente ore. Inoltre, questo effetto è amplificato dall’elevata umidità invernale che rallenta ulteriormente l’evaporazione delle gocce e quindi aumenta il rischio di diffusione del contagio.
La ricerca, pubblicata dalla rivista scientifica internazionale PNAS (https://www.pnas.org/content/118/37/e2105279118), mira a sensibilizzare le autorità sanitarie pubbliche su questo specifico rischio di infezione. Rischio che, secondo gli autori, è sottovalutato dalle attuali linee guida dei diversi istituti internazionali e nazionali preposti alla sanità.
«Le piccole goccioline sono infettive più a lungo del previsto, ma questo non dovrebbe essere motivo di pessimismo» spiega Alfredo Soldati, ordinario di fluidodinamica dell’Ateneo friulano e direttore dell’Institute of Fluid Mechanics and Heat Transfer della Technische Universität di Vienna. «Ci mostra solo – sottolinea il professore – che occorre studiare tali fenomeni nel modo corretto per capirli. Gli strumenti di ricerca che abbiamo a disposizione adesso consentono di formulare raccomandazioni scientificamente valide, ad esempio per quanto riguarda le mascherine e le distanze di sicurezza. Il nostro team è ora al lavoro per sviluppare un modello semplificato per l’utilizzo in diverse situazioni».