Bambini e ragazzi, anche del tutto asintomatici, possono risultare positivi al tampone per mesi, anche due. O tre in casi limite. Nel corso di questo periodo la carica del virus può subire oscillazioni consistenti, tornando a salire tra un tampone e l’altro fino a dare esito nuovamente positivo anche in pazienti che in precedenza si erano negativizzati. Il dato arriva da uno di due studi italiani pubblicati sul ‘Journal of Infection’, che pone il problema di pazienti “costretti a un lungo isolamento anche se non sono più infettivi” e mette in risalto “l’importanza della determinazione delle cariche virali nei pazienti positivi a Covid-19” e la necessità per i laboratori di offrire questa analisi.
Covid, “bambino di 9 anni positivo per 3 mesi”
Ma il lavoro, che analizza 30 casi di bambini e ragazzi risultati contagiati dal coronavirus Sars-CoV-2, aggiunge ulteriori dati sul comportamento dell’infezione nei più piccoli. Informazioni preziose in vista della sfida per una riapertura sicura delle scuole. Le due ricerche sono firmate da Enzo Grossi e Vittorio Terruzzi, rispettivamente direttore scientifico e direttore sanitario di Villa Santa Maria, Centro multiservizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza con sede a Tavernerio, in provincia di Como.
Lo studio che approfondisce il tema della carica virale è stato accettato e pubblicato nell’arco di tre giorni ed è stato realizzato in collaborazione con il Centro diagnostico italiano (Cdi) di Milano. Gli autori, fra cui figurano per il Cdi Lucy Costantino e Fulvio Ferrara, si focalizzano sulla dinamica della carica virale in un gruppo di 30 bambini e adolescenti lungo l’arco di diverse settimane. Si tratta di giovani seguiti dall’istituto di riabilitazione Villa Santa Maria. Fra il 27 aprile e il 4 luglio nella struttura 52 bambini e teenager (41 maschi e 11 femmine dai 6 ai 18 anni) sono stati testati per Covid-19. Di questi 30 sono risultati positivi (25 maschi e 5 femmine, età media 14 anni), alcuni sintomatici altri senza alcun segno dell’infezione.
I tamponi, ripetuti una o due volte a settimana hanno evidenziato che chi ha sintomi Covid ha mediamente una carica virale più elevata rispetto a chi non ne ha. E chi ha una carica virale più elevata elimina il virus in un tempo superiore. Altro dato: la carica virale iniziale dei 25 maschi era significativamente più alta di quella delle 5 femmine.
“L’aspetto più sorprendente è stato però – fanno notare gli autori – che i livelli di carica virale possano oscillare notevolmente nel tempo prima di ridursi sotto il livello che contraddistingue la negatività e che l’intervallo necessario per una scomparsa definitiva del virus dal tampone nasofaringeo può superare due mesi. Addirittura, uno di questi soggetti, il bambino di 9 anni affetto da autismo protagonista del secondo studio, è rimasto positivo per quasi 3 mesi in ragione della carica virale iniziale estremamente alta”.
È importante ricordare, sottolineano gli esperti, che per rilevare la carica con la Pcr (Polymerase Chain Reaction), su cui si basa l’esame del tampone, l’Rna del virus subisce una trasformazione: viene prima trascritto a Dna e poi amplificato in una serie di cicli. Più è alto il cosiddetto ‘Cycle Threshold’, il ciclo-soglia, meno Rna virale è presente in chi ha fatto il tampone. “Un risultato positivo della Pcr può pertanto non significare necessariamente che la persona sia ancora infettiva o che abbia ancora una malattia significativa, dato che l’Rna potrebbe provenire da un virus non più vitale o ucciso”, fanno notare i camici bianchi.
“Si ritiene che sotto le 10mila copie di Rna, corrispondenti a 34-36 cicli-soglia, non ci sia essenzialmente rischio di contagio”, aggiungono gli autori. Ma, in assenza di informazioni specifiche sulla carica virale, un soggetto positivo “rischia di essere mantenuto in isolamento per settimane inutilmente”. Per converso, “un soggetto con cariche virali di milioni di copie di Rna, corrispondenti a 24-25 cicli-soglia, può rappresentare per lungo tempo una fonte di contagio anche se asintomatico o paucisintomatico”.
Nello studio 20 giovani pazienti sono stati sottoposti a più di due test. I dati mostrano una marcata oscillazione della carica virale nei successivi 97 tamponi, eseguita lungo l’arco di 12 settimane dopo il primo. Un’altalena anche con tamponi negativi che sono diventati di nuovo positivi. Il messaggio emergente da queste osservazioni, riassume Grossi, “è che un attento monitoraggio con test ripetuti a intervalli regolari dei valori della carica virale è importante per stabilire la durata dell’infettività. Sarebbe opportuno, quindi, che i laboratori nel definire un tampone positivo quantificassero la carica virale, come si fa con i comuni esami di laboratorio per la glicemia e il colesterolo”.
Powered by WPeMatico