Criptovalute e, in particolare, i bitcoin. E soprattutto la tecnologia blockchain alla base, completamente disintermediata e applicabile ben al di fuori dell’ambito finanziario in cui è nata, potenzialmente rivoluzionando interi settori produttivi e la stessa sussistenza del sistema di potere, bancario, burocratico. Se ne parla e se ne scrive tantissimo, soprattutto dalla fine del 2017, con l’aumento del prezzo di questa “moneta virtuale”, ma i momenti di confronto sono pochi e non c’è ancora uniformità di interpretazione o definizione, pur essendo crescente – e in modo esponenziale – la curiosità e la voglia di sapere. Così è anche in Friuli, almeno stando all’affluenza eccezionale (un pubblico di tutte le età, tanti imprenditori e tantissimi i giovani) al convegno dedicato al tema, il primo, organizzato dalla Camera di Commercio di Udine insieme al Consorzio camerale per l’economia e la finanza di Milano: Sala Valduga completamente piena e piene anche le due sale video-collegate, con oltre un centinaio di persone connesse anche da remoto alla diretta streaming dell’evento, in cui si sono analizzati in particolare gli aspetti economico-finanziari, fiscali e giuridici legati alle criptomonete. Ad aprire i lavori, il presidente Cciaa Giovanni Da Pozzo, che ha evidenziato «l’importanza di cominciare ad approfondire questi “strumenti”, perché è importante riuscire a inquadrarli senza giudizi né pregiudizi, rappresentando un’innovazione in grado di influenzare l’economia e, più ampiamente, le nostre vite». E così è iniziato il seminario, moderato da Stefano Miani dell’Università di Udine, con gli interventi qualificati di Domenicantonio De Giorgio, Financial and investment advisor indipendente – che ha introdotto e “fotografato” la realtà delle cripto valute e della blockchain –, nonché di Andrea Paltrinieri dell’Università di Udine, che si è concentrato sulle anomalie del mercato e i contratti finanziari applicabili, seguito, sulle implicazioni legali e fiscali del comparto, da Flavio Notari della John Cabot University.
E quindi, di che cosa si tratta? Innanzitutto, va distinta la cripto moneta – “open source” e sprovvista di un’autorità centrale – dalla tecnologia che c’è alle spalle. A fine gennaio, le criptovalute sul mercato erano 1524: il bitcoin, primo “arrivato”, rappresenta da solo il 36% del totale del mercato. È una vera moneta o è uno strumento finanziario, visto quanto è soggetto a profondissime oscillazioni? Una risposta definitiva non c’è ancora, anche se è chiaro che si tratta di unità per comprare beni e servizi, che sono movimentate attraverso un conto, il «portafoglio elettronico» (wallet), consultabile via internet, e che possono essere acquistate con moneta tradizionale su una piattaforma di scambio, in un Atm o ricevute online direttamente da qualcuno che le possiede, per poi essere tenute nel wallet. Anche se sono quasi quotidiane le notizie di Paesi che effettuano chiusure o blocchi ai mercati di negoziazione o definiscono non impiegabile il bitcoin come strumento di pagamento “pubblico”, ci sono sempre più operatori privati, specie per l’e-commerce, che accettano pagamenti in criptovaluta in tutto il mondo. Se questa è dunque l’unità di scambio, alla base c’è la blockchain, letteralmente una “catena di blocchi”: è una tecnologia crittografica peer-to-peer, ossia un sistema distribuito che consente di operare transazioni che restano tracciate e pubbliche, in cui manca totalmente l’intermediazione, a differenza di quanto avviene “normalmente”. Si tratta di una tecnologia che può prescindere dalla moneta e dalla finanza, ed è applicabile in moltissimi campi, con effetti anche molto forti, per esempio, per grandi aziende globalizzate, in un’ottica di maggiore efficacia ed efficienza nella gestione delle scorte di magazzino, spesso dislocate a livello mondiale. Il rischio, oltre all’elevatissima possibilità di fluttuazione finanziaria, è quello, secondo i relatori, dell’anonimato. L’impiego di tale tecnologia su vasta scala, non strettamente “monetaria” ma industriale, può portare, poi, alla rinuncia a “gradi” di sicurezza o di privacy. In Italia, come ha evidenziato l’ultimo relatore, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali deve ritenersi lecito. Anche se l’acquisto, lo scambio e l’utilizzo di criptovalute non sono assistiti da tutele legali o contrattuali analoghe a quelle che accompagnano le operazioni in valuta legale e l’emissione e la gestione di criptovalute non sono soggette a vigilanza da parte di alcuna autorità e in caso di condotta fraudolenta, fallimento o cessazione di attività delle piattaforme di scambio non esistono tutele specifiche per coprire le perdite subite.
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