“FAImarathon. Con il Gioco del Lotto e il FAI una Giornata FAI d’Autunno alla scoperta di un’Italia diversa“: l’iniziativa, nata nel 2012 e realizzata grazie alla partnership con Il Gioco del Lotto, è un evento nazionale a sostegno della campagna di raccolta fondi “Ricordiamoci di salvare l’Italia”. Per la prima volta affidata ai giovani del FAI, domenica 18 ottobre 2015 FAImarathon apre al pubblico, con visite a contributo libero, oltre 500 luoghi in 130 città di tutta Italia grazie all’entusiasmo di 3.500 volontari che, in molti casi, proporranno eventi e iniziative speciali.
Palazzi, chiese, teatri, giardini, cortili, frammenti di bellezza della nostra vita quotidiana, spesso inaccessibili o poco conosciuti: i luoghi proposti nei diversi itinerari tematici, urbani ed extraurbani, sono di interesse artistico, paesaggistico e sociale e rappresentano l’identità del territorio, la sua storia, le sue tradizioni.
GORIZIA: i percorsi dei potenti – Un itinerario virtuale e di riscoperta di alcuni luoghi preziosi di Gorizia, normalmente poco accessibili o sconosciuti al pubblico ore 13:00/18:00
BIBLIOTECA STATALE ISONTINA – Francesco Giuseppe fece l’ultima visita a Gorizia il 29 e 30 settembre 1900 per celebrare i 500 anni di appartenenza della città e del suo territorio al casato asburgico.
La visita partì dalla stazione meridionale, attuale stazione di Gorizia Centrale, per poi snodarsi lungo tutto il corso, allora diviso in corso Francesco Giuseppe e corso Verdi. All’altezza dell’incrocio con le attali vie Mameli e S. Chiara, in prossimità dello stabile della Biblioteca Wenderbergica, attuale Biblioteca Statale Isontina, l’imperatore scese dalla carrozza ed ebbe un incontro con le dame goriziane, venendone omaggiato e omaggiandole. Tale fatto assolutamente inusuale per l’epoca, dove i nobili o ricchi borghesi maschi avevano il privilegio di conferire direttamente con l’imperatore, immortalato da una serie di fotografie, si svolse in corrispondenza di un’istallazione effimera a forma di esedra, nella quale avevano preso posto circa 40 tra nobildonne e spose di funzionari imperiali e borghesi di alto livello.
L’imperatore poi proseguì il percorso giungendo in piazza della Vittoria dove, dopo la messa in S. Ignazio, passò in rassegna i reparti di stanza a Gorizia. Da lì si recò nel palazzo Tasso, attuale prefettura, che divenne la sua residenza per entrambe le giornate. Nel gloriet rialzato posto sulla destra venne istallato un trono dal quale Francesco Giuseppe assistette la sera allo spettacolo di “luci e suoni” organizzato in suo onore.
CASTELLO DI GORIZIA – Vittorio Emanuele III di Savoia, re d’Italia, tra il 1916 ed il 1922 venne a Gorizia per 4 volte. Piace ricordare non tanto la visita ufficiale, avvenuta il 22 maggio del 1922 dopo la stipula del trattato di Rapallo con il neonato Regno di Yugoslavia, quanto la seconda visita del 25 luglio 1917 in piena guerra poco prima della XI battaglia della Bainsizza.
In quell’occasione il re si recò al Municipio, al comando di Piazza e poi venne accompagnato dal generale Cattaneo comandante a Gorizia sul colle del castello all’epoca sconvolto dai bombardamenti di entrambi gli schieramenti. Dopo una breve sosta davanti alla chiesetta trecentesca di S. Spirito, la cui facciata rimase indenne dalle ingiurie belliche, il sovrano fece una breve ricognizione sugli spalti del maniero e si soffermò, così si narra, all’interno di un bastione per osservare il vicino fronte. Da allora quella posizione venne chiamata “osservatorio del re”.
(Cuiriosità: Tra coloro che lavorarono alle strutture difensive del castello si annovera anche Edmondo Halley, scopritore della omonima cometa, che nel 1702 progettò il bastione est del maniero.)
PREFETTURA DI GORIZIA -La visita di Benito Mussolini, il 20 settembre 1938, è quella sicuramente più importante rispetto alle altre due che il duce fece a Gorizia. L’occasione infatti servì anche alla città che vide l’inaugurazione di importanti lavori realizzati nel periodo. Mussolini transitò per via Roma oggetto di importanti lavori di sistemazione edilizia, si fermò in piazza della Vittoria, dove, da un appariscente palco di color nero predisposto davanti al gloriet di destra del palazzo della prefettura, lo stesso che aveva accolto Francesco Giuseppe, effettuò uno dei suoi discorsi a tutta voce. Il palazzo della Prefettura vide l’incontro del Duce con le massime autorità di Gorizia. Per far spazio al palco di Mussolini, visto che il gloriet venne reputato insufficiente per accogliere cotanta autorità, fu abbattuto un secolare cedro che ornava il giardino, e venne addirittura spostata la settecentesca statua di S. Ignazio perchè “oscurava la visione del Duce”. Alcuni anni fa, dopo circa 60 anni, la statua è stata rimessa nella sua posizione storica. Mussolini, venuto a conoscenza dell’abbattimento del cedro, nel seguito fece giungere a Gorizia una magnolia, come dono ristoratore del misfatto.
PALMANOVA: PASSEGGIATA FRA LE MURA – Un itinerario virtuale e di riscoperta di alcuni luoghi preziosi di Palmanova, normalmente poco accessibili o sconosciuti al pubblico ore 10:00/12:00
BALUARDO DEL MONTE – Nove imponenti baluardi, dalla perfetta forma a punta di freccia, sporgono ai vertici del perimetro poligonale della fortezza e le conferiscono la caratteristica forma di stella. Pregevoli per la loro geometrica eleganza, appartengono alla prima cerchia muraria veneziana e in seguito all’impiego in battaglia della polvere da sparo costituivano l’elemento difensivo strategico principale per la loro capacità di risposta elastica ai colpi di artiglieria.
Il baluardo Del Monte, costruito tra il 1600 e il 1605, è formato da un terrapieno alto dieci metri,
incamiciato da un muro di contenimento. Nella parte bassa l’incamiciatura è formata da grandi conci lisci di
pietra calcarea d’Istria dello spessore di circa mezzo metro, che lateralmente si elevano per tre metri; su di
essi è ancora possibile osservare i marchi di fabbrica costituiti da ancore, punte di freccia, croci… La pietra
d’Istria occupa invece tutta l’altezza del baluardo sullo sperone, creando un effetto geometrico e cromatico
notevole. Nella parte alta, il paramento è costituito da una doppia incamiciatura di mattoni rossi e gialli,
posti di taglio per garantire una maggiore elasticità nei confronti dei colpi di artiglieria. Un cordolo posto tra
due fasce di mattoni segna le diverse pendenze funzionali all’assorbimento del fuoco nemico.
MURA VENEZIANE – Le possenti fortificazioni che circondano la città di Palmanova, secondo la volontà dei loro costruttori, presentavano due piani di lettura: dall’interno era possibile cogliere tutti i particolari del complesso sistema difensivo, dall’esterno invece la struttura del sistema fortificatorio e la città non dovevano essere percepibili dagli attaccanti per evidenti motivi di strategia militare. All’interno di questo gioco di visibilità e invisibilità della fortezza si collocavano anche i camminamenti sotterranei detti mine che, come una ragnatela, si diramavano sotto terra lungo la zona fortificata. Ne avviò la costruzione Girolamo Corner, provveditore di Palma dal 1674 al 1675, che le ritenne indispensabili per la difesa della piazzaforte. I difensori avrebbero potuto così muoversi e raggiungere qualsiasi punto della struttura, dalle difese più interne a quelle più esterne, senza esser visti o rischiare di venir colpiti. In seguito, a poco a poco, queste vie sotterranee interessarono tutti i nove rivellini, cioè la seconda cinta veneziana costituita da terrapieni di forma triangolare posizionati di fronte alle cortine.
La recente esplorazione ha messo in luce un reticolo geometrico costituito da mine che hanno la forma di
un tridente, in cui il ramo centrale prende l’avvio dal muro di controscarpa, il parapetto che protegge il lato
esterno del fossato, e giunge fino al vertice del rivellino. Questo ramo a fondo cieco, detto contromina, in
caso di assedio poteva essere ulteriormente scavato dai minatori verso l’esterno per rompere
l’accerchiamento e sorprendere i nemici alle spalle o poteva servire per piazzare materiale esplosivo sotto
le postazioni nemiche e farle saltare in aria.
PORTA UDINE E ACQUEDOTTO VENEZIANO -Posta al centro di uno dei nove lati del poligono, Porta Udine costituisce uno dei tre accessi alla città. Di fattura piuttosto accurata ed elegante, ricorda nella sua struttura l’arco trionfale romano. Le due garitte dal tetto aguzzo, che prolungano l’altezza delle coppie di paraste, spingono l’occhio verso l’alto, mentre le semicolonne terminano in due svettanti guglie. Il leone marciano posto a guardia sopra l’arco d’ingresso come sulle altre due Porte, venne abbattuto all’arrivo di Napoleone. Porta Udine è l’unica che conserva ancora all’interno le due grandi ruote che servivano per il sollevamento degli antichi ponti levatoi. Sempre all’interno si aprono caminetti e stanze per i militari addetti alla guardia. Immediatamente fuori da Porta Udine si trova il ponte-canale dell’acquedotto. Anticamente costruito in legno, distribuiva in fortezza l’acqua della roggia di Palma, deviata nel 1617 dal provveditore Antonio Grimani, attraverso una rete di canalette che percorrevano i borghi e la piazza della città. Nel 1665, il provveditore Alvise Molin lo fece ricostruire in pietra di Medea; subì poi numerosi restauri finché nel 1751 assunse la forma attuale per volontà del provveditore Pisani. Una lapide barocca, posta tra le arcate, costituita da una pelle di leone sotto due volute, contiene un’epigrafe laudatoria del provveditore Pisani, ai lati sono poste le figure simboliche di Igea e Sorgente. In basso il nome dello scultore palmarino Carlo Pico. L’acquedotto, recentemente restaurato, si può ammirare ora in tutta la sua bellezza.
POZZO VENEZIANO – Il pozzo veneziano da cui si innalza il pennone, detto stendardo, si trova al centro di Piazza Grande e rappresenta geometricamente e simbolicamente il centro del complesso sistema urbano ed extraurbano di Palmanova. Costruito in pietra d’Istria, fu eretto nel 1611 con funzione di basamento del pennone. Presenta tre eleganti nicchie in direzione dei borghi; sui tre lati minori si trovano lo stemma del doge Leonardo Donato e un’iscrizione che lo ricorda assieme al provveditore generale di Palmanova, Giovanni Pasqualigo.
Lo stendardo, durante la prima occupazione francese, nel 1797, fu trasformato in albero della libertà e sui
lati del basamento vennero incise scritte inneggianti ai principi della rivoluzione francese.
Piazza Grande, la cui funzione principale era quella di campo di Marte, costituisce il cuore della vita
politica, militare, economica, religiosa della città, in quanto vi si affacciano i palazzi storici veneziani,
simbolo del potere della Serenissima. I bassi edifici che la circondano ne esaltano il perimetro esagonale
formando una quinta edilizia armoniosa, tra essi la Loggia della Gran Guardia, il Palazzo dei Provveditori
Generali, il Palazzo del Monte di Pietà e il Palazzo del Governatore delle Armi. Spicca tra tutti il Duomo
dogale del SS. Redentore per la monumentalità e per l’elegante apparato decorativo in contrasto con la
semplicità delle altre facciate. A evidenziare i sei ingressi delle vie radiali che si diramano da Piazza Grande
undici statue che rappresentano altrettanti benemeriti provveditori, immortalati nel loro abito da
cerimonia e rivolti con sguardo assorto verso il centro della piazza.
TRIESTE E IL MARE – Un itinerario virtuale e di riscoperta di alcuni luoghi preziosi di Trieste, normalmente poco accessibili o sconosciuti al pubblico ore 10:00/18:00
FARO DELLA VITTORIA – Il Faro della Vittoria è un’opera imponente (alta 67,85m) che commemora i marinai caduti nella Prima Guerra Mondiale e guida la navigazione notturna nel Golfo di Trieste. La lanterna è collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno all’asse in 30 secondi e sprigiona una luminosità di circa 1.200.000 candele con una portata media di 30 miglia. La parte ornamentale è completata, in basso, dalla figura del Marinaio Ignoto, opera di Giovanni Mayer realizzata con 100 tonnellate di pietra di Orsera. Sotto la statua è affissa l’ancora del cacciatorpediniere Audace, prima nave italiana a entrare nel porto di Trieste il 3 novembre 1918. Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata austriaca Viribus Unitis. La spesa totale fu di 5.265.000 lire e l’opera fu inaugurata il 24 maggio 1927 alla presenza di Vittorio Emanuele III.
EX IDROSCALO – La Guardia Costiera ha sede presso l’Idroscalo che fu voluto nel 1926 dalla Società Italiana Servizi Aerei (SISA), la prima compagnia di linea aerea civile Italiana fondata nel 1923 dai Fratelli Cosulich. L’edificio si deve all’architetto Ricardo Pollack e fu inaugurato nel 1933 alla presenza de Duca Amedeo d’Aosta. La struttura, alta 10 metri, lunga 80 metri e larga 35, poteva contenere sino a 12 idrovolanti ed era chiusa, sul lato mare da 12 enormi porte scorrevoli.
LANTERNA – La lanterna vecchia sorge su uno zoccolo di pietra dura detto scoglio dello Zucco, unito alla terra ferma attraverso il molo Teresiano nel 1744. Sede di un faro già in epoca romana, l’attuale lanterna è stata costruita tra il 1830 ed il 1833 su progetto dell’architetto Matteo Pertsch. E’ una struttura a forma di colonna dorica alta 33 m in pietra di Aurisina e poggia su un bastione merlato, esempio di Torre Massimiliana. Ora è sede della Lega Navale e non funge più da faro dal 1969. Aveva una portata di circa 30 Km (16 miglia marine) ed inizialmente era illuminato ad olio per poi essere elettrificato nel 1926. Dal 1927 fu affiancato dal monumentale Faro della Vittoria che ora lo sostituisce completamente nelle sue funzioni di segnalazione.
MOLO AUDACE – Costruito a partire dal 1743 sul relitto della “San Carlo” (nave affondata durante una burrasca da cui il molo prese il suo nome durante il periodo asburgico), la struttura contava soltanto 95 m di lunghezza e presentava un ponte levatoio alla sua base per il passaggio dei natanti. Allungato negli anni fino ad arrivare alla lunghezza attuale di 246 m, alla sua testa è presente una colonna in pietra bianca d’Istria sormontata da una rosa dei venti fusa nel bronzo “dei cannoni nemici”, come recita la dedica, nel 1925. Il nome Audace deriva dal primo cacciatorpediniere italiano che nel 1918 ivi attraccò per primo per liberare il porto di Trieste.
MUSEO DEL MARE -Il Civico Museo del Mare si trova in via Campo Marzio 5, nella palazzina della direzione del vecchio Lazzaretto di S. Carlo, primo lazzaretto di Trieste, costruito nel 1721. Vi si accede attraverso un cortile che ospita delle ancore ed una sezione della nave Elettra dalla cui Guglielmo Marconi eseguì i suoi primi esperimenti radio. Il piano terra illustra “la storia, le scoperte, gli strumenti, le invenzioni”. Vi è una sala che prende il suo nome da Josef Ressel, primo sperimentatore della propulsione ad elica in campo navale che proprio a Trieste nel 1829 compì i suoi esperimenti a bordo del piroscafo Civetta. Una sezione del museo illustra la storia delle navi presentando modellini e strumenti di navigazione settecenteschi. Due sale del piano terra sono dedicate a Marconi e alle 3 caravelle.
Il I° piano è dedicato alla marineria triestina dell’800 ed il II° alle origini della navigazione a vapore. Le sale laterali ospitano plastici del porto di Trieste e di alcuni porti Dalmati, carte nautiche, foto e stampe di soggetto marinaro. Vi è infine del materiale inerente la pesca e l’itticoltura, che propone i modelli delle imbarcazioni tradizionali e gli attrezzi utilizzati fino a qualche decennio fa.
URSUS – Nel 1910 lo Stabilimento Tecnico Triestino iniziò la costruzione di un pontone-gru denominato “Ursus”, capace di sollevare carichi di 300 tonnellate fino a 70 m di altezza, venne pertanto impiegato per posizionare motori e cannoni sulle navi da guerra della flotta asburgica.
Nei decenni successivi, grazie a revisioni ed ammodernamenti continui, fu impiegato nella costruzione di tutte le grandi navi che uscirono dall’Arsenale triestino. L’aggiunta della ralla per la rotazione della gru ha limitato la portata a 150 tonnellate, ma sono rimaste invariate le sue impressionanti dimensioni: 1.164 metri quadri di superficie del pontone galleggiante (con doppio fondo), 54 metri di lunghezza, 24 metri di larghezza, pescaggio minimo di 2 metri e mezzo, 2.090 tonnellate di stazza lorda ed una gru di sollevamento alta 71,5 m.
La struttura, costruita analogamente alla Torre Eiffeil, è completamente in acciaio, la gru dispone di un impianto elettrico, mentre l’autonomia del pontone era garantita da due motori e due timoni. Le notevoli dimensioni ed un sistema di contrappesi garantivano la stabilità in ogni condizione di sollevamento.
Attualmente Ursus è un raro reperto di archeologia industriale di cui al mondo si conoscono solo altre tre casi analoghi.
EX PESCHERIA – La struttura fu ideata dall’Ingegnere ed architetto Giorgio Polli, capo sezione del Dipartimento edile dell’Ufficio tecnico del Comune di Trieste, per la vendita del pesce al minuto e all’ingrosso nell’ambito di un intervento più vasto di ridefinizione delle Rive cittadine. I lavori cominciarono nel 1913 e produssero una struttura dalle dimensioni notevoli (100 metri di lunghezza e 44 di larghezza, con un’altezza di 26,5 metri) composta da un ampio spazio centrale ad uso commerciale illuminato da grandi finestre e dotato di 140 banchi, una parte antistante destinata agli incanti (ovvero aste al ribasso dei prodotti ittici) e infine un campanile “convertito” in serbatoio di acqua marina impiegata per l’adiacente acquario e convogliata fino ai banchi di vendita della pescheria.
SOTTOSTAZIONE ELETTRICA – L’edificio, costruito nel 1913, si trova nelle vicinanze della Centrale Idrodinamica ed è rimasto funzionante fino al 1989: era destinato alla trasformazione dell’energia elettrica. Ora, dopo un lavoro di restauro, gli interni sono destinati ad ospitare gli archivi storici del porto di Trieste. Nella sottostazione sono ancora visibili i trasformatori, le altre apparecchiature elettriche e l’arredo originario che costituiscono nel suo insieme una preziosa testimonianza di archeologia industriale
STABILIMENTO BALNEARE LA LANTERNA – PEDOCIN – Inaugurato nel 1890 il Bagno Comunale “Lanterna” ha la particolarità di essere rimasto l’unico bagno in Europa ad essere diviso in due zone, separate da un muro: da una parte gli uomini e dall’altra le donne e i bambini fino a 12 anni. La “Lanterna” trae chiaramente il proprio nome dalla vicinanza con l’omonimo faro, oramai spento, ma che, all’epoca dell’apertura dello stabilimento balneare era perfettamente funzionante. Fin dagli albori, però lo stabilimento era conosciuto anche con il nome, caro ai triestini, di “Pedocin”, ovvero piccolo pidocchio, forse dovuto all’ammassarsi dei bagnanti sul ristretto fazzoletto di terra o forse, come sostengono i più, al fatto che lo stabilimento era molto frequentato, all’inizio del XX secolo, dai militari che non godevano della fama di particolari curatori dell’igiene personale.