Fujita Yosuke è uno dei migliori registi giapponesi di commedie del momento, anche se non il più prolifico. Nato nel 1963, ha fatto il suo debutto come regista solo nel 2008 con Fine, Totally Fine (Zenzen Daijobu), una commedia su un manovale (Arakawa Yoshiyoshi) che aspira a costruire la “casa dei fantasmi” più spaventosa del mondo con l’aiuto dei suoi amici, ignoranti quanto lui. L’inaspettato oggetto d’amore del film è una stramba artista (Kimura Yoshino) che vediamo per la prima volta mentre dipinge ossessivamente una senzatetto dall’abbigliamento coloratissimo.
Quella che all’inizio è una sagra delle stranezze giapponesi, anche esilarante, si trasforma in una toccante quanto inattesa e anticonvenzionale ode all’amicizia e all’amore. Fine, Totally Fine ed Encouragement Girls, il contributo di Fujita all’antologia comica del 2011 Quirky Guys and Gals (Sabi Otoko Sabi Onna), sono stati ampiamente proiettati e apprezzati fuori dal Giappone, il che ha portato a un inusuale accordo di produzione per la sua ultima pellicola, Fuku-chan of FukuFuku Flats (Fukufukuso no Fukuchan): al posto del solito consorzio di società nipponiche operanti nel mondo dei media, i finanziatori del film, oltre che dal Giappone, vengono anche da Gran Bretagna, Germania, Italia e Taiwan.
Piuttosto che investire sul solito film d’azione o horror asiatico, hanno scommesso sul fatto che il talento di Fujita per la commedia, genere difficilmente esportabile, avrebbe portato a un film di successo. Per fortuna la scommessa è stata vinta. Il tocco comico di Fujita, asciutto ma caloroso, è ancora intatto, come pure la sua passione per tutta una serie di disadattati che si incontrano gli uni con gli altri, senza però riciclare la formula “un sorriso e una lacrima” tanto amata dall’industria cinematografica giapponese con il suo pathos che trasuda sentimentalismo. La sua sensibilità, alla fine, è molto più in sintonia con le ridotte aspettative del Giappone contemporaneo, il cui più grande sogno non è una passeggiata trionfale verso il tramonto, bensì un reale, magari umile, contatto tra esseri umani. Il Fuku-chan del titolo (Oshima Miyuki), è un imbianchino basso, tracagnotto e dal cranio rasato, che vive nel condominio del titolo: un vecchio dormitorio con camere piccole e pareti sottili ma con un’atmosfera di condivisione.
Il suo compagno di lavoro Shimacchi (di nuovo Arakawa) non solo gli assomiglia perfino nella rasatura del cranio, ma si preoccupa a tal punto del benessere del suo amico solitario da reclutargli persino una fidanzata. Quando però al doppio appuntamento organizzato da Shimacchi Fuku-chan si fa accompagnare da due degli strani coinquilini del condominio FukuFuku, quello che doveva essere un romantico picnic si trasforma in un disastro. Intanto, Chiho (Mizukawa Asami), una donna con un lavoro ottimamente retribuito presso una società straniera e molto talento per la fotografia, vince con le sue foto un concorso e la possibilità di studiare con un fotografo famoso. Chiho lascia il lavoro ma l’apprendistato non va come sperato e lei, senza più lavoro né prospettive, comincia a riesaminare la propria esistenza. Provando un persistente senso di colpa per le prepotenze che lei, insieme ai suoi amici del liceo, ha inflitto a un compagno cicciottello e bonaccione, decide di cercarlo per scusarsi con lui. Fin qui sembrerebbe tutto molto serio, ma da questo momento fino alla fatidica riappacificazione tra Fuku-chan e il suo primo amore, che gli ha causato un eterno terrore nei confronti del sesso femminile, Fujita inserisce una gran quantità di gag delicatamente assurde e dalla comicità contagiosa.
Persino il materiale scenico, come i bizzarri aquiloni in stile nipponico che Fuku-chan costruisce e fa volare, o gli interpreti minori, come il giovane imbianchino che con voce impostata e ingenua intensità canta vecchie kayokyoku (canzoni popolari giapponesi) davanti ai colleghi estasiati, producono ottimi effetti comici. La storia, sia prima che dopo l’incontro, non è tutta da ridere. Il dolore che Fuku-chan prova nei confronti del passato è reale, come reale è il pentimento di Chiho per i peccati commessi in gioventù. Ma malgrado la sofferenza, le lacrime, e persino i cazzotti, il film non scade mai nel patetico o nel banale. Uno dei motivi è l’affetto che Fujita ovviamente prova nei confronti di tutte le proprie creazioni, compreso un inquilino dei FukuFuku Flats che malgrado un aspetto da nerd è una vera bomba a orologeria.
Un altro motivo è la comicità che risuona costantemente in sottofondo, anche quando la bomba a orologeria umana alla fine esplode. Se il film sta catturando l’attenzione dei media giapponesi, però, il merito non è di Fujita, ancora relativamente sconosciuto al grande pubblico, bensì di Oshima Miyuki, una popolare attrice comica televisiva alla sua prima esperienza cinematografica nei panni di Fuku-chan. Questo ingaggio non è una trovata pubblicitaria: Oshima è decisamente credibile nel ruolo di un uomo di mezza età, e la aiuta anche la straordinaria somiglianza del suo personaggio con quello interpretato da Arakawa, egualmente cicciottello e rasato. Inoltre, Oshima è un’attrice comica molto dotata che sa come muoversi davanti all’obiettivo: che sia quello di Chiho o quello di Fujita. Quando, nel ruolo di Fuku-chan, fa smorfie davanti alla macchina fotografica mentre Chiho scatta a ripetizione, è in qualche modo radiosa, oltre che buffa. In caratteri kanji, “Fuku” significa “buona fortuna”, e Fujita è stato davvero fortunato a trovare Oshima. E noi saremmo fortunati se potessimo avere un’altra commedia di Fujita bella quanto questa prima che passino altri quattro lunghi anni.
Mark Schilling