Prima di cominciare questo mio intervento voglio salutarvi non solo personalmente, ma anche da parte del mio Presidente regionale Dario Ermacora e da parte dei colleghi delle altre tre provincie, alcuni dei quali oggi presenti. Mi è stato chiesto di portare una breve testimonianza su quello che può essere oggi essere le motivazioni che muovono il fare e l’essere di chi ha scelto di lavorare la terra. Per poterlo raccontare è bene che vi dica che oggi sono qui come Presidente di Coldiretti, una organizzazione, la più grande a livello nazionale ed europeo del mondo agricolo, che della dignità dei lavoratori delle campagne ha fatto sempre il suo elemento distintivo. Da quando è nata, negli anni 40, Coldiretti si è sempre battuta perché i lavoratori della terra, allora spesso semplici braccianti, potessero avere il giusto posto nella società con le giuste garanzie. Ricordo che allora non esisteva la pensione, l’assistenza sanitaria e che le condizioni di vita e di lavoro nelle campagne erano ai limiti della dignità umana. Attraverso l’azione di Coldiretti siamo riusciti ad ottenere un passo alla volta e con tanta fatica, con l’impegno ed il sacrificio di tanti dirigenti e semplici soci, il nostro giusto posto nella società. Oggi posso affermare, con orgoglio, che un agricoltore è un cittadino-lavoratore con la sua dignità. Questo però non significa che abbiamo raggiunto il nostro scopo, perché i diritti, e la storia lo insegna, vanno costantemente difesi da quelle che possono essere le minacce provocate dai cambiamenti, spesso non ben governati. Se prima ci siamo battuti per dei diritti, oggi riconosciuti come universali, la pensione piuttosto che l’assistenza sanitaria, le sfide che ci troviamo come agricoltori-cittadini ad affrontare oggi sono ancora più difficili. In tal senso voglio fare riferimento a quanto Papa Francesco ha voluto dire in quel bellissimo documento, la Laudato Sii che qualcuno ha voluto chiamare l’enciclica verde, ma che in realtà non parla solo di ambiente ma racconta la giusta relazione che deve esistere tra gli uomini e la terra, racconta quindi di agricoltura. Se guardiamo all’agricoltura, l’invito è quello a rimettere le mani sulla considerazione del mercato nella sua dimensione globale, caratterizzata da molteplici e concomitanti fattori distorsivi, a partire dall’impatto sui prezzi dei sistemi monetari e finanziari, dalla possibilità di assicurare il diritto e l’accesso al cibo attraverso forme di agricoltura famigliare con attenzione ai bisogni delle comunità locali, al contrasto delle pratiche di deforestazione, alla rimozione dagli scaffali di tutto quel cibo a basso costo causa principale di obesità e disturbi alimentari, fino al necessario investimento in iniziative culturali sul cibo e di educazione alimentare. L’enciclica, ci invita a ricercare, e questo mi sento di dire essere il principale compito di noi agricoltori, il benessere per tutti eliminando inefficienze e sprechi, a ricercare buone pratiche, dobbiamo combattere la iniqua distribuzione delle risorse della terra. Anche l’agricoltura è responsabilizzata nel superare la crisi ecologica e nel difendere la relazione tra uomo e ambiente. Non possiamo non citare i casi di sfruttamento industriale dei suoli per la produzione di biocarburanti, superfici che vengono sottratte alle comunità ai fini del sostentamento, o la stessa coltivazione degli ogm, che risulta un modello economico capace di produrre povertà, lavoro sottopagato e desertificazione attraverso forme di colonialismo del lavoro e privazione di libertà di scelta. Questo passa attraverso un nostro, di tutti noi, quotidiano impegno individuale nel mantenere vivo il dialogo alla ricerca del bene comune. La conversione ecologica riguarda, infatti, il radicale cambiamento dell’attuale modello di sviluppo, in cui ciascuno come operatore o consumatore ha la sua parte. Come coltivatori e cittadini dobbiamo impegnarci quotidianamente a dare un adeguato riconoscimento economico e sociale al lavoro nei campi, dove pesano gli effetti di una globalizzazione senza regole che favorisce lo sfruttamento, la speculazione sul cibo e sottopaga i prodotti della terra. Con il nostro lavoro, noi imprenditori agricoli italiani siamo impegnati a costruire un’agricoltura di straordinaria qualità, con caratteri distintivi unici, con una varietà e un’articolazione che non ha uguali al mondo. Questo know how, replicabile in ogni parte del pianeta, è il contributo della Coldiretti per forze sociali ed economiche analoghe alla nostra in Paesi assai meno fortunati. L’agricoltura italiana è diventata oggi la più green d’Europa, con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp, per la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico e la più vasta rete di aziende agricole e mercati di vendita a km 0, ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati, come avviene in 23 Paesi sui 28 dell’Unione Europea. Questa battaglia, della difesa di un modello di agricoltura come quello che noi proponiamo, un modello italiano che si fa forte della tipicità, della territorialità della grande biodiversità che solo il nostro paese può dare, non può essere soltanto un patrimonio o un argomento di noi agricoltori ma deve diventare, un tema di tutti; il cibo buono, pulito e giusto diventa elemento di riscatto per il nostro paese, e diventa elemento di dignità per tutti i lavoratori. La nostra difesa del cibo made in Italy, non è una battaglia di egoismo nazionalistico, ma è frutto di un pensiero legato ad un modello di sviluppo che non pone soltanto il profitto come elemento fondante nel proprio agire, ma soprattutto chiede di riconoscere la dignità del lavoro degli uomini e delle donne che lavorano la terra. Voglio andare a chiudere questo mio intervento citando un altro bellissimo passaggio tratto da Enciclica che oramai ha qualche anno, ma che è ancora di grande attualità e che parla di lavoro. In un passaggio riferito al lavoro nelle campagne cita “come siano urgenti e necessari cambiamenti radicali per ridare alla agricoltura ed agli uomini dei campi il giusto valore come base di una sana economia nel insieme dello sviluppo della comunità sociale”. Come cristiano mi sento un uomo di speranza, e perciò non posso che concludere dicendo che i segni del cambiamento ci sono e sono rappresentati anche dai tanti giovani che oggi decidono di impegnare la loro intelligenza ,il loro lavoro e le loro mani in un settore che sta dando al nostro paese, grazie al loro impegno delle vere traiettorie di futuro. Grazie.
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