I casi di sospetta scabbia identificati da maggio sono stati otto in un primo gruppo di 80 profughi ospitati all’ex caserma Cavarzerani di Udine, tutti trattati correttamente. Lo rende noto l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine in un comunicato. Nei giorni scorsi, continua la nota, altre 140 persone ospiti nella caserma sono state visitate ed è stato rilevato un solo caso di sospetta scabbia, trattato. Altri casi isolati sospetti, non più di una decina e sempre trattati, sono stati rilevati nel corso degli ultimi tre-quattro mesi tra i migranti. L’Azienda ospedaliera rimarca che i casi tra i profughi non producono un aumento del rischio di diffusione nella popolazione, perché la scabbia riflette le condizioni di disagio, promiscuità forzata e scarsa accoglienza e si trasmette solo per contatto prolungato e diretto pelle-a-pelle o per contatto sessuale. “Il punto critico – evidenzia la nota – è la possibilità di garantire che i soggetti affetti seguano la terapia e siano ospitati in condizioni igieniche sufficienti a favorire l’eradicazione dell’acaro”. L’Azienda segnala infine che i dati regionali e nazionali dimostrano che i soggetti migranti giunti nel nostro Paese presentano sostanzialmente un buono stato di salute, che ogni anno si registrano comunque 10-15 casi di scabbia tra la popolazione locale e invita a non cadere in un “allarmismo ingiustificato” sulla questione scabbia.
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