Dopo la fine del lockdown c’è stata una notevole impennata degli accessi per intossicazione alcolica acuta grave, spesso associata ad abuso di altre sostanze stupefacenti, di adolescenti nei Pronto Soccorso. Il preoccupante dato è stato evidenziato da una ricerca curata dai medici del Pronto Soccorso dell’Irccs Materno Infantile “Burlo Garofolo” dell’Ospedale triestino di Cattinara, che è stata pubblicata sulla rivista statunitense Journal of Adolescent Health, una delle maggiori nel settore, ed è il risultato di un lavoro di squadra tra medici dei due P.S., neuropsichiatri infantili e specializzandi della Scuola di Pediatria.
L’analisi dei dati ha mostrato un incremento degli accessi per intossicazioni alcoliche acute subito dopo la fine del lockdown. Il dato più significativo è stato quello di un incremento percentuale, decisamente importante, dei ricoveri per “ubriachezza grave”, che in rapporto a tutti gli accessi in Pronto Soccorso di quella fascia di età sono passati dal 2% del 2019 all’11% del 2020, mostrando, quindi, un aumento significativo dell’impatto dell’intossicazione.
Secondo quanto riferito dai curatori della ricerca, guidati al Burlo dal dottor Giorgio Cozzi e a Cattinara dal dottor Alessandro Agostino Occhipinti, si è trattato di accessi di ragazzi e ragazze che hanno corso, in più di un caso, un reale pericolo di vita, per i traumi anche gravissimi con necessità di valutazione neurochirurgica associati all’ebbrezza da alcol e stupefacenti e per la necessità di supporto respiratorio che ha portato anche all’intubazione e all’accesso in terapia intensiva. Di fatto una buona quota di questi ragazzi aveva precedenti di consumo o di abuso di sostanze.
«Senza tema di voler eccessivamente semplificare – afferma il prof. Egidio Barbi, Direttore della Clinica Pediatrica del Burlo -, l’impatto di salute di questa piccola epidemia in termini di ricoveri e gravità di patologia è stato, per la fascia adolescenziale, di gran lunga maggiore dell’impatto del Covid stesso. In altri termini – chiarisce – i nostri ragazzi hanno rischiato più la vita per questo che per il Covid. Il significato di questo fenomeno è certamente correlabile alle difficoltà emotive e relazionali create dal lock-down, che hanno probabilmente favorito un “rimbalzo” di comportamenti a rischio da liberazione dalle restrizioni. Ciononostante, il livello di incremento del numero di accessi e della loro gravità testimonia di una incapacità di controllo e di messa in pericolo reale che non può essere sottostimata».
Dal canto suo, il dottor Giuseppe Abbracciavento della Neuropsichiatra del Burlo, indagando le possibili motivazioni del pericoloso aumento di abuso di alcol negli adolescenti, ha evidenziato come: «I nostri ragazzi e le loro famiglie hanno reinventato la convivenza in una condizione forzata che talvolta ha esasperato dinamiche conflittuali nel nucleo, altre volte ha invece facilitato una maggiore condivisione del tempo e un miglior riconoscimento dei bisogni dei ragazzi da parte dei loro genitori. Questo non è stato, però, sufficiente ai ragazzi nel meglio adattarsi alla fase subito successiva alla chiusura. Gli eccessi caratterizzano il periodo dell’adolescenza, sono una componente di genio che, tuttavia, è inevitabilmente accompagnata a una limitata capacità di auto-modulazione. Il lungo periodo di chiusura con un limitato accesso a esperienze di messa alla prova nella vita reale, con i pari, con i compiti evolutivi talvolta anche molto faticosi, ha portato a una ricerca di sensazioni ed emozioni intense, aprendo o riaprendo così la strada all’uso di sostanze psicoattive. La maggior parte di questi ragazzi infatti già prima del lockdown aveva avuto contatti con le sostanze psicoattive o con comportamenti a rischio».
Gli autori dello studio, nel trarre le conclusioni sul lavoro svolto, si sono augurati che quanto registrato possa risultare utile nell’individuare le migliori modalità e tempistiche per il monitoraggio di situazioni in cui sono già presenti fattori di rischio, ai fini di possibili interventi preventivi.
«Lo studio – ha commentato il Direttore Generale dell’Irccs, Stefano Dorbolò – ci lascia un interessante spunto di riflessione, considerate le dimensioni del fenomeno e le modalità distorte di reazione liberatoria dei giovani da una repressione forzata. Dovremmo far tesoro degli insegnamenti che questa esperienza ci ha lasciato – ha concluso – in modo da considerare le misure educative e comportamentali, preventive e precauzionali, che andranno attuate e condivise con le famiglie che costituiscono per i ragazzi il primo e fondamentale luogo di confronto, di responsabilità, di cultura e del vivere civile».