Attraversare a occhi aperti la condizione umana, in particolare la nostra tensione verso l’altro, la ricerca appassionata di legami che fanno vivere, resi possibili per non esserci arresi alle solitudini e alle distanze. Ecco la traccia del cammino affascinante che la mostra
«Insieme» (Udine, Casa Cavazzini, 18 febbraio – 16 luglio 2023) propone attraverso sessanta capolavori – dieci in più rispetto alla grande mostra dello scorso anno –, molti dei quali appartengono ai più importanti protagonisti dell’arte degli ultimi due secoli, tracciando un cammino che parte dall’eleganza dei Preraffaelliti e giunge a proporci le suggestioni del Surrealismo, passando per i linguaggi dell’Espressionismo, del Simbolismo e dell’Astrazione: John Everett Millais, Gaetano Previati, Franz von Stuck, Vasilij Kandinskij, Alberto Savinio de Chirico, Renato Guttuso, Michelangelo Pistoletto, Giuliano Vangi, Gianfranco Ferroni, Tibor Csernus, Salvador Dalì e altri ancora. L’opera più distante nel tempo è del 1851, l’opera più vicina è del 1992. E proprio in queste ultime settimane sono state individuate inoltre alcune ulteriori opere in collezioni private di grande pregio, opere che sembrano proprio essere di autori importantissimi e mai esposte al mondo prima d’ora, sulle quali il curatore, Don Alessio Geretti, sta concludendo accurate ricerche e che, se sono davvero quel che sembrano essere, includerà nel percorso eccezionale di questa mostra.
Il progetto espositivo vede coinvolti musei e collezionisti di otto paesi d’Europa (Austria, Croazia, Francia, Italia, Polonia, Spagna, UK e Ungheria), grazie alla collaborazione, fra gli altri, del Belvedere di Vienna, del Petit Palais di Parigi, del Musée Carnavalet di Parigi, ma anche di Palazzo Pitti a Firenze e del MART di Rovereto, della Royal Academy of Arts di Londra e del Teatre Museu Dalì di Figueres. Due terzi delle opere provengono da oltre confine, facendo di Udine un epicentro di interesse culturale internazionale.
La mostra, che sarà realizzata grazie al sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e di Promotourismo Fvg, della Fondazione Friuli e della Camera di Commercio di Pordenone-Udine, è stata presentata ufficialmente oggi in Sala Ajace alla presenza del sindaco di Udine, Pietro Fontanini e degli assessori comunali alla Cultura, Fabrizio Cigolot, e del Commercio e Turismo, Maurizio Franz.
“Una mostra importante per la nostra città – ha detto il sindaco Pietro Fontanini -. Siamo certi che anche questa sarà una grande occasione per cittadini e i turisti di ammirare bellissime opere d’arte grazie al grande lavoro del Comitato di San Floriano”.
Come il titolo suggerisce, la mostra è una meditazione d’arte per passare da un uomo smarrito nell’incomunicabilità a un uomo ritrovato nell’intersoggettività.
L’arte dell’Ottocento e del Novecento torna assai spesso sul fatto che l’essere umano deve trovare la via d’uscita dalla prospettiva dell’individualismo strutturale, dall’egocentrismo metodico, dalle filosofie del soggetto, o dalla visione di una reciproca ostilità universale. Tutti distanti, tutti concorrenti. La relazionalità, in simili prospettive, pare un accidente che s’aggiungerebbe ad una sostanza già completa, mentre la conflittualità appare talmente radicale da portarci a spiegare e a vivere i rapporti sociali in chiave di tutela delle libertà del singolo e in stato di opposizione a qualcuno che abusa del mondo e di noi. Dalla logica della
prossimità e dai doveri morali dell’amore fraterno, della giustizia e del dono, si scivola gradualmente verso un’impostazione di vita e di società in cui il massimo sforzo è offrirci tutt’al più una certa tolleranza reciproca e il cui massimo bene pare essere la privacy. Nemmeno nascita e morte di uno di noi sono più notizie che si possano pubblicamente domandare e certificare; sono i cosiddetti dati “sensibili” di esseri che forse stanno per smarrire la sensibilità.
L’arte tra Ottocento e Novecento ha frequentemente commentato questa deriva, lo smarrimento progressivo del soggetto e la percezione di una prigionia dell’io e, gradualmente, del suo stesso sfaldamento in una enigmaticità sfuggente e di conseguenza in una incomunicabilità di fondo. Proust, Joyce, Kafka, Sartre, in letteratura, sono il parallelo di quel che accade in molti quadri dipinti dalla metà dell’Ottocento in avanti.
Una diversa visione dell’uomo, che parallelamente si è sviluppata in Occidente negli ultimi cent’anni, partendo da Emmanuel Mounier e Jacques Maritain, passando per Jurgen Habermas, fino a Paul Ricoeur, si concentra sul personalismo comunitario e sull’intersoggettività. L’antico invito del «conosci te stesso» implica in modo costitutivo il riconoscimento dell’alterità e l’inserimento di ognuno nella connessione con gli altri. Nessuno conosce se stesso ed anche il mondo se non a partire dai riconoscimenti o dai non riconoscimenti sperimentati nella sua vita di relazione.
L’arte tra Ottocento e Novecento ha spesso manifestato questo insopprimibile anelito dell’essere umano a stabilire legami, a riconoscersi nell’altro, a vivere per la comunione, seppur con mille limiti. Dopo la stagione del razionalismo illuministico, che ha avuto il suo correlativo nella perfezione formale ricercata dal Neoclassicismo, quasi per contraccolpo la cultura dell’Occidente viene attraversata da un fremito romantico che ricolloca prepotentemente al centro dell’attenzione il tema delle grandi passioni, interpersonali e collettive: il sentimento d’amore, l’amicizia, il sentimento patriottico e quello sociale, corporativo. Così dal Romanticismo fino ai nostri giorni si snoda un percorso d’arte che testimonia quanto siamo interconnessi.
La mostra «Insieme» darà da pensare, smuoverà emozioni potenti e ricordi intimi. Essa – anche nell’allestimento che si estenderà in dieci sale espositive al secondo piano di Casa Cavazzini – parte dalla fatica di uscire da se stessi o di trovare porte aperte e ci fa ripensare poi le esperienze fondamentali di contatto e di legame con l’altro, con le creature e con Dio.
Tra le 60 opere della mostra, vengono proposte in anteprima le immagini di quattro dipinti in particolare, scelti perché emblematici dell’intero percorso:
- John Everett Millais, La figlia del boscaiolo, 1851, Londra, Guidhall Art Gallery.
Il delizioso e importantissimo dipinto di uno dei massimi artisti dell’Inghilterra vittoriana, della schiera dei cosiddetti Preraffaelliti, mostra un timido e delicato incontro ispirato dall’omonimo poema di Coventry Patmore dal 1844. Al centro dell’attenzione l’amore impossibile tra la figlia di un taglialegna e il figlio del proprietario terriero locale. Poesia, innocenza, destino, ingiustizia.
- Gianfranco Ferroni, Interno lettino, 1982, Milano, Collezione Iannaccone.
Già presente con un autoritratto indimenticabile nella mostra dello scorso anno “La forma dell’infinito”, Ferroni propone nelle sue opere un vuoto non vuoto, così denso di significati che dalle sue tele si rimane ipnotizzati, come in attesa che qualcosa accada. Il vuoto di un’esistenza molto solinga e taciturna sembra essere un’attesa che, da quel letto sfatto e abbandonato, invoca il desiderio di una presenza o la malinconia per la sua perdita.
- Karl Borschke, La fonte della vita, 1918, Vienna, Belvedere.
Contemporaneo di Gustav Klimt, questo importante artista della Secessione viennese propone quasi un rovesciamento della classica iconografia della Pietà: in questo caso è la donna stesa con le braccia aperte, come in croce, pronta ad effondere vita e salvezza sull’uomo che la adora devotamente. Lo sfondo, bidimensionale ed astratto, sembra fiorire il corpo femminile, che con questo dipinto inaugura l’epoca in cui la donna si lascia definitivamente alle spalle secoli di prevaricazione maschile.
- Salvador Dalì, Dalì di spalle dipinge Gala vista di spalle eternizzata da sei cornee virtuali provvisoriamente riflesse da sei veri specchi, 1972, Figueres, Teatro Museo Dalì.
Questo quadro, prescelto come immagine di manifesto per la mostra «Insieme», pone diverse complesse questioni. Che dipinge davvero Dalì? Non possiamo saperlo perché la mole del suo corpo copre a noi la visione diretta di quel che sta facendo sulla tela, mentre lo specchio ce ne mostra solamente il retro. E perché Dalì si serve di uno specchio per ritrarre sua moglie Gala? Vuole forse suggerire che nell’altro non sappiamo cogliere se non un riflesso, pur vivendo da una vita insieme? E come non intravvedere, in filigrana dentro questo dipinto di Dalì, il quadro più importante della storia dell’arte spagnola, cioè Las Meninas di Diego Velazquez, che a sua volta pone il problema delle relazioni umane e del vuoto che abita chi ha amato qualcuno e l’ha perduto a causa della morte?
È opportuno segnalare un ulteriore punto di forza della mostra di Casa Cavazzini: la grande attenzione con cui i flussi dei visitatori saranno regolati, in modo che tutti siano accompagnati in piccoli gruppi di persone, in stanze organizzate come teatri suggestivi che con la regia delle luci e la magia delle parole faranno gustare una toccante intimità con le opere esposte.
Da quest’oggi sono aperte le prenotazioni, attraverso il telefono (0432.1279127) o la mail (prenotazioni@udinegrandimostre.it). Già online e in progressivo sviluppo il sito della mostra visibile all’indirizzo www.udinegrandimostre.it e le pagine social della mostra, su Facebook e Instagram, che riveleranno gradualmente la bellezza delle opere, dei racconti in esse contenuti e dei messaggi su cui molto riflettere.