Sul red carpet del Far East Film Festival sabato 23 aprile ci sarà la diva di Hong Kong Stephy Tang. Una vera e propria celebrità, non solo per lo star system hongkonghese, la cui carriera ha sempre scintillato: sia quella di pop idol, quando capitanava la band tutta femminile delle Cookies, sia quella di attrice (l’Hong Kong Film Critics Society Award ha incoronato cinque anni fa la sua grande interpretazione in The Empty Hands). Per la primissima volta a Udine sabato 23 aprile, dopo numerosi titoli passati al FEFF fin dal 2002 (tra cui, ovviamente, lo stesso The Empty Hands), Stephy accompagnerà sul palco Twelve Days, acuta riflessione sul romanticismo contemporaneo, e Table for Six.
La proiezione del film Twelve Days sarà alle 19.30 di sabato 23 aprile al Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Nel 2000 la sceneggiatrice Aubrey Lam ha esordito alla regia con Twelve Nights, uno degli sguardi più stimolanti del cinema di Hong Kong sulle relazioni amorose. Ispirandosi a Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, Lam non solo ha utilizzato i vari episodi per tracciare la rapida ascesa e il lento declino di una relazione, ma ha anche suggerito i cicli che caratterizzano tali rapporti. Non era un film facile da guardare – tanto per cominciare, il suo orientamento antiromantico e pessimistico lo rendevano una scelta poco felice per una serata romantica – e nemmeno nel film seguente Lam si è discostata molto da quell’atmosfera cupa.
Come il suo predecessore, Twelve Days è incentrato su una hostess di nome Jeannie
e sulla sua travagliata vita amorosa. Il pubblico fa la conoscenza di Jeannie (Stephy Tang) in occasione di un primo appuntamento piuttosto disastroso, quando lei e il suo ragazzo, Simon (Edward Ma) provano a uscire sul lungomare durante un tifone. Dopo aver faticato a trovare uno spazio tutto per loro in città, i due si sposano e prendono un appartamento. Ma la felicità coniugale non sembra essere scritta nel loro destino: già durante la notte delle nozze Simon si dimostra irascibile, e man mano che si fa strada sul lavoro diventa sempre più egoista, perfido e distaccato.
Alla fin fine, davanti a questa coppia che vive nel lusso ma porta avanti una relazione sempre più insoddisfacente, gli spettatori potrebbero chiedersi che cosa tenga insieme Jeannie e Simon. Lam da parte sua non ha una risposta precisa: come il film precedente, anche Twelve Days è strutturato come una serie di episodi, distanti anche mesi l’uno dall’altro, e presentati con un approccio diretto e lineare. Il linguaggio aspro delle didascalie esprime alcuni commenti diretti, ma per il resto il pubblico deve riordinare i propri pensieri per capire come mai Jeannie vada d’accordo con il suo uomo, perché lui la dia per scontata e per quale motivo non riescono a fare a meno l’uno dell’altra.
Twelve Nights ha l’impronta tipica dei film della United Filmmakers Organization, in cui Lam aveva fatto la gavetta come sceneggiatrice. Questa società di produzione era rinomata per le sue commedie e i suoi drammi raffinati e profondi, spesso realizzati con una sensibilità borghese. Nel suo primo film Lam aveva mantenuto lo stesso stile, riproposto anche in Twelve Days, che prevede standard di produzione consolidati, con l’inserimento di qualche discreto tocco comico. I due protagonisti recitano in maniera convincente per tutto il film, in due ruoli che hanno richiesto a entrambi un lavoro pesante, dato l’isolamento generale dei loro personaggi sullo schermo. Con Jeannie e Simon che rimangono impantanati in un matrimonio infelice, Twelve Days non è adatto a chi è alla ricerca di una storia romantica convenzionale; per chi invece apprezza un cinema più audace, le scenette di Aubrey Lam che alternano amore e amarezza costituiscono una variazione stimolante di questo genere cinematografico.