Prosegue il viaggio delle “Letture in corte” alla scoperta dei fatti che hanno provocato svolte epocali nella storia moderna e contemporanea dell’Italia e del Friuli. Mercoledì 14 giugno alle 21 in corte Morpurgo il duo composto da Angela Felice e Paolo Patui riproporrà la collaudata formula – Paolo che legge e commenta, Angela che contrappunta e puntualizza, alcuni esperti che dibattono – curata per UdinEstate 2017 dall’associazione Modo e dal Teatro Club Udine.
Dopo l’epopea risorgimentale del primo appuntamento, sarà ora la volta delle lotte della Resistenza, che hanno particolarmente coinvolto il territorio regionale, segnandone non senza traumi il riscatto democratico, la coscienza antifascista e il ritorno alla partecipazione civile. Temi sui quali si soffermeranno i due ospiti della serata, il giornalista Paolo Medeossi e lo studioso Francesco Micelli. Lo spunto per queste riflessioni, e oggetto di lettura, sarà fornito dal romanzo “Il Ghebo”, narrazione d’esordio di Elio Bartolini, la cui prima stesura, dal titolo “La Cartera”, risale al 1946-1947, sull’eco di vicende largamente autobiografiche. Il libro, sgradito a destra per il tema resistenziale come a sinistra per lo scarso allineamento ideologico, venne però rifiutato da Longanesi e da Einaudi e poté vedere la luce solo nel 1970 per i tipi della Nuova Base di Udine, conoscendo poi delle ristampe successive per vari editori, come nel 1979 per Avagliano, con prefazione di Raffaele Crovi che collocò il romanzo di Bartolini nella «triade delle migliori narrazioni sulla Resistenza italiana» insieme con “Uomini e no” di Elio Vittorini e a “I ventitré giorni della città di Alba” di Beppe Fenoglio.
Il Ghebo (dal nome di una risorgiva codroipese) è una delle più folgoranti e felici narrazioni dello scrittore codroipese, che non solo recupera un momento storico vissuto e sofferto personalmente, ma lo rievoca e trasfigura in forma anticronachistica e artisticamente sospesa. Sullo sfondo dell’inverno del 1945, in cui incombe anche la tragedia dell’eccidio di Porzûs, il partigiano Andrea, protagonista del romanzo e nel contempo figura simbolica di solitudine e dubbio, ha il compito di operare nella Bassa friulana e lì di trovare un punto di incontro tra i partigiani della Garibaldi e della Osoppo, organizzandoli in un possibile “comando unico” che superi attriti e diffidenze reciproche. Ma Andrea è un intellettuale a suo modo inadatto all’azione, un novecentesco esempio di “inettitudine”, portatore di una visione ideale della società futura che non può non scontrarsi con la rozzezza quasi primitiva dei partigiani combattenti, ostili dinanzi alla formazione culturale di quello strano capo “studiato”. Una ricca e articolata serie di frammenti quotidiani, abilmente intrecciati fra loro, conduce all’episodio conclusivo, l’unico attraversato da un fremito eroico, in cui Andrea si sentirà per la prima e unica volta “comandante”, poco prima di finire ucciso dall’estremo attacco tedesco al rifugio partigiano. In quel gesto, in quell’atto, in quel sacrificio, «l’estensione di prati, marcite e risultive che da sempre dona il sentimento di una solitudine dove non succederà niente» ora invece appare turbata, incredula dinanzi alla sanguinosa presenza della guerra.
#eventi
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Dopo l’epopea risorgimentale del primo appuntamento, sarà ora la volta delle lotte della Resistenza, che hanno particolarmente coinvolto il territorio regionale, segnandone non senza traumi il riscatto democratico, la coscienza antifascista e il ritorno alla partecipazione civile. Temi sui quali si soffermeranno i due ospiti della serata, il giornalista Paolo Medeossi e lo studioso Francesco Micelli. Lo spunto per queste riflessioni, e oggetto di lettura, sarà fornito dal romanzo “Il Ghebo”, narrazione d’esordio di Elio Bartolini, la cui prima stesura, dal titolo “La Cartera”, risale al 1946-1947, sull’eco di vicende largamente autobiografiche. Il libro, sgradito a destra per il tema resistenziale come a sinistra per lo scarso allineamento ideologico, venne però rifiutato da Longanesi e da Einaudi e poté vedere la luce solo nel 1970 per i tipi della Nuova Base di Udine, conoscendo poi delle ristampe successive per vari editori, come nel 1979 per Avagliano, con prefazione di Raffaele Crovi che collocò il romanzo di Bartolini nella «triade delle migliori narrazioni sulla Resistenza italiana» insieme con “Uomini e no” di Elio Vittorini e a “I ventitré giorni della città di Alba” di Beppe Fenoglio.
Il Ghebo (dal nome di una risorgiva codroipese) è una delle più folgoranti e felici narrazioni dello scrittore codroipese, che non solo recupera un momento storico vissuto e sofferto personalmente, ma lo rievoca e trasfigura in forma anticronachistica e artisticamente sospesa. Sullo sfondo dell’inverno del 1945, in cui incombe anche la tragedia dell’eccidio di Porzûs, il partigiano Andrea, protagonista del romanzo e nel contempo figura simbolica di solitudine e dubbio, ha il compito di operare nella Bassa friulana e lì di trovare un punto di incontro tra i partigiani della Garibaldi e della Osoppo, organizzandoli in un possibile “comando unico” che superi attriti e diffidenze reciproche. Ma Andrea è un intellettuale a suo modo inadatto all’azione, un novecentesco esempio di “inettitudine”, portatore di una visione ideale della società futura che non può non scontrarsi con la rozzezza quasi primitiva dei partigiani combattenti, ostili dinanzi alla formazione culturale di quello strano capo “studiato”. Una ricca e articolata serie di frammenti quotidiani, abilmente intrecciati fra loro, conduce all’episodio conclusivo, l’unico attraversato da un fremito eroico, in cui Andrea si sentirà per la prima e unica volta “comandante”, poco prima di finire ucciso dall’estremo attacco tedesco al rifugio partigiano. In quel gesto, in quell’atto, in quel sacrificio, «l’estensione di prati, marcite e risultive che da sempre dona il sentimento di una solitudine dove non succederà niente» ora invece appare turbata, incredula dinanzi alla sanguinosa presenza della guerra.
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