Nel 2018 i nuovi rapporti di lavoro dipendente attivati in regione nel settore privato (esclusa l’agricoltura) sono aumentati del 3,4% rispetto all’anno precedente (circa 4.800 assunzioni in più). Sono in crescita tutte le tipologie, con la rilevante eccezione dei contratti di somministrazione (-5,9% pari a quasi 2.400 in meno). Si può nello specifico evidenziare la dinamica positiva delle assunzioni a tempo indeterminato (+18,4%, pari a 2.850 in più). Lo rileva Alessandro Russo, ricercato dell’Ires Fvg che ha rielaborato dati Inps.
Per quanto riguarda i lavoratori più giovani anche il contratto di apprendistato mostra una tendenza decisamente espansiva (+16,5%, 1.000 in più), in continuità con il biennio precedente; inoltre si rileva un incremento consistente del ricorso al lavoro intermittente (+10,2%, pari a +1.315 nuovi contratti), utilizzato come alternativa ai voucher. Si tratta di una tipologia contrattuale mediante la quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgerla in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.
Gli effetti del Decreto Dignità
L’approvazione a luglio del cosiddetto “Decreto Dignità” ha introdotto importanti modifiche nei contratti a tempo determinato, in particolare riducendone la durata massima (da 36 a 24 mesi) e il numero di proroghe possibili (da 5 a 4), aumentando il contributo addizionale previsto per ogni rinnovo e reintroducendo la causale (se il contratto supera i 12 mesi). La legge di conversione del Decreto (approvata quasi un mese dopo) ha poi previsto un regime transitorio fino al 31 ottobre, mentre dal 1 novembre in poi si applicano solamente le nuove regole. Nel secondo semestre del 2018 si possono pertanto osservare i primi effetti sulle dinamiche dei contratti a termine e in somministrazione. In entrambi i casi si rileva un’interruzione della fase espansiva che era iniziata nel 2016. Le nuove assunzioni a termine sono diminuite del 4,7% (-1.400 unità) rispetto allo stesso periodo del 2017, mentre nella prima parte dell’anno il segno era positivo (+11,3%). Ancora più pronunciato il calo di quelle in somministrazione, -17,9% nel periodo luglio-dicembre (pari a oltre 3.400 in meno); anche in questo caso nel primo semestre la tendenza era positiva (+5,2%). È inoltre vero che nello stesso periodo il numero di trasformazioni dei contratti a termine in tempi indeterminati è molto aumentato (+85,3% nella seconda parte dell’anno, era uno degli obiettivi del Decreto), ma si tratta del proseguimento di un trend in atto già da gennaio di quest’anno (nei primi sei mesi erano quasi raddoppiate, +90,7%). Le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti in somministrazione, pur in deciso aumento, sono numericamente marginali (+321 unità nel 2018 rispetto al 2017). Per effetto delle recenti novità normative sul mercato del lavoro è dunque sensibilmente diminuito il ricorso delle imprese ai contratti a termine e in somministrazione, in evidente discontinuità con il passato, mentre è proseguita la crescita delle stabilizzazioni in sostanziale continuità con i primi mesi dell’anno. Non bisogna infatti dimenticare, osserva Russo, che la forte espansione delle assunzioni a termine nel biennio precedente ha determinato un fisiologico e corrispondente incremento delle stabilizzazioni a tempo indeterminato nel 2018, ulteriormente favorito dalle recenti novità normative, dagli incentivi rivolti ai giovani fino a 35 anni e anche dall’andamento positivo dell’economia (nonostante il rallentamento dell’ultima parte dell’anno). Si può ricordare che le assunzioni dei giovani under 35 che hanno beneficiato dei relativi sgravi contributivi sono state 1.476 su un totale di 18.350 nuovi rapporti a tempo indeterminato (8%), le trasformazioni 1.975 su 14.590 (13,5%).
Le nuove assunzioni a tempo indeterminato
I rapporti di lavoro a tempo indeterminato avevano avuto un forte impulso nel 2015, grazie alla possibilità per le imprese di usufruire di consistenti sgravi contributivi; negli anni successivi questa notevole crescita è stata solo in parte intaccata. Nel 2018 si è registrata un nuovo importante incremento, anche se più contenuto, e se si considerano le variazioni nette dei contratti a tempo indeterminato (assunzioni più trasformazioni di altre tipologie contrattuali meno le cessazioni) il saldo del 2018 risulta ampiamente positivo e pari a circa +5.200 unità in regione.
L’esame delle sole nuove assunzioni a tempo indeterminato permette di osservare che l’incremento nel 2018 si è concentrato nei rapporti a tempo pieno (+25,8% rispetto al 2017, mentre il numero di quelli part time è cresciuto in misura molto inferiore, +6,5%) e ha riguardato soprattutto i lavoratori maschi (+21% contro il +14,3% delle femmine). Si può anche evidenziare che quasi la metà delle nuove assunzioni a tempo indeterminato è stata effettuata da aziende fino a 15 dipendenti (il 46%); inoltre si osserva un aumento particolarmente sostenuto nel manifatturiero (+1.414 unità, pari a +29,7%).
I motivi delle cessazioni dei rapporti a tempo indeterminato
Negli ultimi anni si può rilevare un netto aumento delle interruzioni dei contratti per dimissioni dei lavoratori, che riguardano ormai quasi il 70% delle cessazioni dei rapporti a tempo indeterminato in regione (18.900 su 27.700). Questa crescita ha riguardato soprattutto i lavoratori delle imprese più grandi (con oltre 100 dipendenti) ed è stata particolarmente accentuata per gli uomini occupati a tempo pieno e nella classe di età over 50. A seguire si trovano i licenziamenti di natura economica, in deciso calo nel tempo (erano pari a quasi 40% nel 2014, nel 2018 sono scesi sotto il 20% del totale), che comprendono quelli avvenuti per giustificato motivo oggettivo, licenziamento collettivo, per esodo incentivato, cambio appalto o interruzione di rapporti di lavoro nel settore edile per completamento dell’attività e chiusura di cantiere. Sono infine meno numerosi ma in aumento i licenziamenti di natura disciplinare, che includono quelli per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: passati dal 2,5% del totale nel 2014 al 4,6% nel 2018.
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