Il mais ogm non è rischioso per la salute umana. Secondo la prima e più vasta analisi dei dati relativi a 21 anni di coltivazioni nel mondo “non c’è alcuna evidenza di rischio per la salute umana, animale o ambientale dal mais transgenico”. Pubblicato su Scientific Reports e condotto da Scuola Superiore Sant’Anna e Università di Pisa, lo studio ha analizzato i dati sulle colture dal loro inizio nel 1996 fino al 2016, in Usa, Europa, Sud America, Asia, Africa e, Australia.
“Dovrò fare una causa allo Stato, perché attenta alla mia salute impedendomi di seminare un prodotto sano che non ha bisogno di trattamenti fitosanitari e insetticidi. Sono 20 anni che lo diciamo che non ci sono problemi”. E’ la prima reazione di Giorgio Fidenato, ‘paladino’ friulano del mais transgenico.
“Voglio seminare questo prodotto – ha aggiunto, parlando con l’ANSA – perché voglio mangiare sano e in maniera economicamente compatibile, altro che biologico, che rappresenta una colossale montatura pubblicitaria”. (ANSA).
Risposta pronta della Coldiretti che ne fa un tema economico di vantaggio, almeno in Friili, per la maggiore remuneratività delle coltivazioni tradizionali «Ferma restando la serietà degli istituti che hanno condotto la ricerca, credo ci troviamo di fronte a una semplificazione, dato che solo un comitato scientifico può fare affermazioni certe in tema di salute. Quello che non è cambiato, inoltre, è che diversi Stati dell’Ue continuano ad applicare il principio di precauzione». Lo afferma il presidente di Coldiretti Fvg Dario Ermacora in merito allo studio sugli Ogm curato dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’Università di Pisa. «La questione – prosegue Ermacora – è tuttavia anche economica. Non può essere in nessun modo strategico un percorso che porta all’omologazione e alla monocultura. Il nostro punto di forza, al contrario, rimangono la distintività, la tipicità, la biodiversità, i valori che fanno riconoscere il made in Italy come eccellenza nel mondo, al punto da essere copiato. Tra l’altro – conclude il presidente regionale di Coldiretti –, non si comprende quale possa essere il vantaggio dell’omologazione in un Paese come il nostro in cui la media della dimensione d’azienda è inferiore ai 13 ettari».