Sabrina Baracetti, presidente del Far East Film Festival di Udine, e il Festival coordinator Thomas Bertacche hanno presentato oggi la line-up della ventunesima edizione, che si aprirà venerdì 26 aprile con l’anteprima mondiale del dramma coreano Birthday e si chiuderà sabato 4 maggio.
76 i titoli in programma, di cui 51 in concorso, provenienti da 12 cinematografie. 3 le anteprime mondiali e 14 le opere prime. Ospiti d’onore la super diva cinese Yao Chen e il super divo hongkonghese Anthony Wong, che ritirerà il Gelso d’Oro alla Carriera.
Se il cinema è lo specchio del tempo, il Far East Film Festival è lo specchio del presente. E la 21ª edizione, percorrendo ancora una volta la Via della Seta, si aprirà venerdì 26 aprile con una anteprima mondiale che del presente è il simbolo. Cinque anni fa il naufragio del traghetto Sewol ha segnato un “prima” e un “dopo” nella storia della Corea del Sud. Ora il potentissimo Birthday riannoda coraggiosamente i fili: racconta il dolore di due genitori che hanno perso il figlio e di una nazione che ne ha persi più di 300. Racconta l’oggi che, nonostante tutto, diventa domani. Sempre.
Con Birthday, prodotto da Lee Chang-dong (Poetry, Burning) e diretto dalla giovane Lee Jong-un, il FEFF rende omaggio a quell’enorme ferita (umana, politica, sociale) così difficile da cicatrizzare: lo aveva già fatto nel 2014, dedicando la 16ª edizione alle vittime del Sewol, e lo fa, appunto, anche adesso, nel segno del fortissimo legame tra Udine e l’Asia. Una lunga storia di amicizia costruita nell’arco di due decenni. Una lunga serie di “nuovi inizi” che non smettono di rappresentare, attraverso la continuità dei rapporti e il ricambio generazionale dei cineasti e degli spettatori, il significato stesso del Festival.
Chi ricorda il primissimo FEFF, quello del 1999? Lo ricorda sicuramente uno dei super ospiti di quest’anno, che nel 1999 accompagnò a Udine il mitico Beast Cops di Gordon Chan-Dante Lam e che a Udine, adesso, fa ritorno per accompagnare due film: My Name Ain’t Suzie di Angie Chan, l’ormai lontano titolo d’esordio (1985), e il magnifico Still Human di Oliver Siu Kuen Chan. Stiamo, ovviamente, parlando di Anthony Wong, divo e leggenda di Hong Kong, che ritirerà il Gelso d’Oro alla Carriera e affiancherà nella hall of fame udinese i nomi di altri giganti come Jackie Chan, Joe Hisaishi e Brigitte Lin.
Per una straordinaria icona hongkonghese, una straordinaria icona cinese: la bellissima Yao Chen, diva (i media amano paragonarla ad Angelina Jolie) e leggenda (80 milioni di follower), grande attrice e instancabile attivista, che salirà sul palco del FEFF a presentare il thriller sociale Lost, Found di Lue Yue (prodotto da Feng Xiaogang). Una vivida riflessione sui diritti civili e sulla condizione femminile nella Cina contemporanea che trova in Yao Chen la protagonista “politicamente” perfetta: Time Magazine, ricordiamo, l’ha inserita fra le 100 persone più influenti del mondo. E il mondo, fino a sabato 4 maggio, si darà appuntamento al Teatro Nuovo “Giovanni da Udine”.
76 titoli in programma (51 in concorso) provenienti da 12 paesi, una retrospettiva, una monografia, un omaggio al nuovo cinema indipendente coreano, 2 “strane coppie”, un restauro in anteprima mondiale e più di 100 eventi tematici organizzati nel cuore di Udine: ecco, al di là dei luoghi comuni e delle semplificazioni giornalistiche, la Via della Seta di cui abbiamo parlato all’inizio. Ecco l’immane itinerario di cui il FEFF, sotto il profilo artistico e culturale, è il maggiore avamposto europeo.
Una vera e propria “isola del cinema” dove il cinema non viene soltanto celebrato – 3 anteprime mondiali, 12 internazionali, 18 europee – ma viene anche declinato al futuro: quest’anno sono 15 i progetti scelti per Focus Asia, il market del Festival, e 10 per Ties That Bind, il workshop internazionale Asia/Europa. Oltre 200 i professionisti del settore attesi a Udine, da 36 paesi, e c’è un’importante novità da evidenziare: il Co-Production Day, fissato per il 1° maggio. Un grande tavolo di lavoro che radunerà filmmaker e produttori, europei e asiatici, per analizzare e sviluppare l’accordo co-produttivo Italia/Cina del 2018.
Film di oggi e film “di domani”. Film che parlano la lingua dell’attualità, spesso direttamente della cronaca, a iniziare dal racconto collettivo Ten Years (dopo Hong Kong, l’asse narrativo si sposta in Giappone e in Thailandia) e dalle 14 opere prime incluse nella line-up (concorrono per il Gelso Bianco e saranno sottoposte all’esame di tre giurati: Giovanna Fulvi, programmatrice del Toronto Film Festival, Freddy Bozzo, storico fondatore del BIFFF – Brussels International Fantastic Film Festival, e Mattie Do, prima e unica regista donna del Laos, amatissima dal pubblico udinese). Film che, a volte, indagano lo stesso tema da angolazioni completamente diverse, come le tre stupende ballate senili Only The Cat Knows di Syoutarou Kobayasi, Romang di Lee Chang-Geun, Heaven’s Waiting di Dan Villegas: una giapponese, una coreana, una filippina. Come cambia la percezione della realtà, da nazione a nazione?
Un affascinante “gioco delle differenze” che non si esaurisce qui e nemmeno nell’atteso remake coreano del nostro Perfetti sconosciuti (cioè Intimate Strangers di JQ Lee): il FEFF 21 ci ha costruito sopra un segmento speciale, The Odd Couples, curato da mister Roger Garcia. Quattro “strane coppie” di gemelli cinematografici dove l’Oriente si misura col proprio “doppio” occidentale e viceversa (My Name Ain’t Suzie di Angie Chan/Il Mondo di Suzie Wong di Richard Quine e City On Fire di Ringo Lam/Le Iene di Quentin Tarantino, omaggio del Festival al caro amico hongkonghese recentemente scomparso). Altro segmento speciale 100 Years of Korean Cinema: I Choose Evil – Lawbreakers Under the Military Dictatorship. Una retrospettiva (8 film) e una monografia messi a punto dal FEFF 21 con il sostegno del KOFIC (Korean Film Council) e la collaborazione del KOFA (Korean Film Archive), ragionando sui concetti di “libertà” e di “censura”, per festeggiare il centenario del cinema coreano.
Se il cinema coreano contemporaneo selezionato dal Festival spazierà dall’epic action (The Great Battle di Kim Kwang-Sik) alla comedy poliziesca (l’irresistibile Extreme Job di Lee Byeong-heon), passando per gli zombie più divertenti dell’anno (The Odd Family di Lee Min-jae), anche il Giappone, pronto a entrare nella Nuova Era – Reiwa – con l’incoronazione di Naruhito, si divertirà a spaziare tra i generi: dall’imperdibile documentario Kampai! Sake Sisters di Mirai Konishi, a Udine in prima mondiale, fino al sorprendente Melancholic di Seiji Tanaka (uno dei 14 debut feature di cui abbiamo già parlato), passando per Every Day a Good Day di Tatsushi Omori che possiamo considerare l’ultimo, bellissimo, saluto di Kirin Kiki.
La Cina verrà rappresentata, come sempre, da titoli molto forti (citiamo Dying to Survive di Wen Muye, che punta i riflettori sul mercato dei farmaci per malati terminali, e The Rib di Zhang Wei, inaspettato dramma familiare a tematica transgender), mentre Hong Kong metterà in campo tutta l’energia creativa dei thriller “vecchia scuola” (Project Gutenberg di Felix Chong) così come tutta la forza eversiva della scena indipendente (Three Husbands di Fruit Chan), senza dimenticare il ritorno di Herman Yau (A Home With a View). Di ritorni, va detto, anche il FEFF 21 sarà molto generoso. E sul fronte del Sud-est asiatico, dove il cinema di genere spadroneggia (a Udine, tra i vari titoli, vedremo l’ottimo horror malesiano Two Sisters), ce ne saranno due particolarmente graditi agli spettatori: quello di Chito Rono e quello di Joyce Bernal, cari e affezionati amici del Festival.
Il FEFF, d’altronde, è proprio questo. È una rete di amici, vecchi e nuovi, sparsi letteralmente per il mondo. È un cerchio magico che si apre e che si chiude, anno dopo anno. È allontanarsi dal proprio centro, viaggiare, spaziare, esplorare, alzare le soglie della curiosità e poi tornare al proprio centro con qualcosa di nuovo dentro gli occhi. Uno sguardo preziosamente diverso.