Da tempo la categoria si batte sui tavoli regionali e nazionali perché la figura dello psicologo sia confermata all’interno dei percorsi di cura e assistenza per le persone con demenza
Sono più di un milione in Italia e oltre 20 mila in Friuli Venezia Giulia le persone affette da Alzheimer o altre forme di demenza. Una cifra che in dieci anni, visto che la regione è sempre più anziana (sono il 24,7% i cittadini over 65), si è praticamente raddoppiata ed è destinata a crescere ancora. La presa in carico delle persone con demenze, la cui assistenza per l’80% è fornita in casa, dai familiari o dai cosiddetti “caregiver”, non può prescindere dall’aspetto psicologico. Ne è convinto l’Ordine degli Psicologi del Friuli Venezia Giulia, che con il suo presidente Roberto Calvani e con Giovanni Ottoboni, psicologo specializzato nella terza età, sottolinea a gran voce, battendosi anche sui tavoli regionali e nazionali, come la figura dello psicologo all’interno dei percorsi di presa in carico e assistenza per le persone con demenze sia cruciale. “A livello nazionale gli psicologi partecipano alla definizione delle linee guida sui trattamenti delle persone con demenza, mentre a livello regionale non facciamo parte del tavolo per la programmazione dei piani di intervento per le persone con demenza”, spiega Ottoboni, che è appena tornato dall’ultimo incontro nazionale sul tema. “A livello nazionale la demenza è riconosciuta come una malattia organica e psicosociale, che significa che la presa in carico dev’essere integrata e a tutto tondo, inclusiva degli aspetti cognitivi, comportamentali e relazionali – commenta Ottoboni -. Attualmente in Friuli Venezia Giulia di questo aspetto, indispensabile per affrontare la malattia, si occupano i volontari delle associazioni dei malati e delle loro famiglie: il loro apporto è fondamentale. Altrove, come in Emilia Romagna, vi sono i centri d’incontro, a cui le persone possono accedere volontariamente, gestiti dalle aziende di servizi alla persona, a cavallo tra comune e azienda sanitaria”. Questi centri, sostiene Ottoboni, rappresentano un modello importante e funzionale, da allargare anche nelle realtà locali. “All’interno dei centri si possono seguire varie attività per affrontare il decadimento cognitivo e le conseguenti conseguenze emotive. Si lavora su percorso di psico-educazione e informazione, di sostegno psicologico, con un’offerta di interventi di matrice integrata, con esercizi di reminiscenza, di training cognitivo, di musicoterapia, di movimento dolce, ma soprattutto di incontro libero e spontaneo, tutte attività a cavallo tra il sociale e lo psicologico”, dice Ottoboni. Nel Piano nazionale demenze sono già previsti questi interventi e le regioni potrebbero già iniziare a regolamentare i loro servizi su queste basi. Il tavolo nazionale sulle linee guida, alla cui apertura Ottoboni ha partecipato di recente, cerca di evidenziare le attività più promettenti all’interno dell’ampio ventaglio di interventi definito nel Piano nazionale. “Alcune regioni hanno recepito e declinato queste linee guida, altre, come la nostra, ci stanno lavorando: contiamo che si arrivi presto a dei risultati concreti. Perché la demenza è una malattia lenta e progressiva: lasciare le persone sole ad affrontarla è una barbarie”, conclude lo psicologo.