Safilo, 700 esuberi in Italia: annunciata la chiusura dello stabilimento di Martignacco
Stamattina e nel primo pomeriggio le assemblee in fabbrica, nel pomeriggio la richiesta di convocazione immediata di un tavolo di crisi agli assessori regionali alle Attività produttive e al Lavoro. Questo il programma della giornata per i sindacati di categoria Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil, all’indomani dell’incontro nel quale i vertici del gruppo Sàfilo hanno annunciato un piano choc da 700 esuberi, oltre il 25% dell’attuale forza lavoro, con la chiusura, in Friuli Venezia Giulia, dello stabilimento di Martignacco, dove operano attualmente 235 dipendenti, per l’80% donne, con un’età media di 40 anni.
Se il gruppo ha parlato di un dimezzamento dei volumi produttivi in Italia e non ha posto alternative, per Martignacco, di una chiusura senza ristrutturazione, che sulla carta precluderebbe l’accesso alla cassa integrazione straordinaria, le categorie chiedono alle istituzioni, e in primis alla Regione, di esplorare da subito ogni soluzione che possa scongiurare il fermo produttivo. «Il primo passo – spiegano Andrea Modotto (Filctem), Pasquale Lombardo (Femca) e Nello Cum (Uiltec) – è quello di attivare da subito, con il sostegno della Regione e delle associazioni di categoria, un tavolo di crisi presso il ministero delle Sviluppo economico, che punti a convertire la chiusura in ristrutturazione e si prefigga come obiettivo minimo la cassa integrazione straordinaria per tutti i lavoratori del gruppo che saranno raggiunti da lettere di licenziamento». Lettere di licenziamento che purtroppo, in base a quanto comunicato dall’azienda, potrebbero incominciare ad arrivare da gennaio (il 7 ancora a Padova il prossimo incontro tra sindacati e azienda), visto il drastico calo del volume delle commesse da parte delle grandi griffe dell’alta moda.
Se impatto occupazionale dimensioni del gruppo i sindacati impongono l’apertura di un tavolo di crisi nazionale, i sindacati chiedono un forte impegno anche da parte della Regione: «Parliamo di lavoratori e lavoratrici – spiegano ancora Modotto, Lombardo e Cum – con un’elevata professionalità, ma penalizzati dal fatto di operare in un settore come quello del tessile e della moda, cannibalizzato da una crisi che ha ridotto ai minimi termini la sua presenza sul territorio provinciale e regionale, come dimostra la lunga serie di chiusure che hanno colpito il comparto, da quella del sito Sàfilo di Precenicco nel 2009 fino a quella di Confezioni Daniela, sempre nell’hinterland udinese, nel 2018. Ecco perché bisognerà guardare anche ad altri comparti, individuando in tempi brevi percorsi ad hoc di riqualificazione e ricollocamento: un’esigenza indifferibile, anche alla luce della massiccia presenta, tra le maestranze del sito di Martignacco, di lavoratori e in particolare di lavoratrici monoreddito».
In questo senso anche l’appello delle segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil, che con Natalino Giacomini (Cgil), Renata Della Ricca (Cisl) e Ferdinando Ceschia (Uil) sollecitano «un immediato e strenuo impegno delle istituzioni, regionali e locali, e delle associazioni di categoria, che non possono restare inerti di fronte ai nuovi fronti di crisi aperti in un tessuto manifatturiero già pesantemente ridimensionato come quello della provincia di Udine». Forte preoccupazione anche per l’area investita da questa vertenza, quella di Martignacco e del collinare, che ha già vissuto dal 2015 a oggi le chiusure di realtà storiche come la Spav nell’edilizia e della Nuova Tiglio di Fagagna nel tessile. «In assenza di politiche industriali e di un impegno congiunto di istituzioni, parti sociali e società civile – concludono Giacomini, Della Ricca e Ceschia – c’è il rischio concreto che i nuovi venti di crisi spazzino via la timida ripresa occupazionale degli ultimi anni, già segnata peraltro da una crescita del lavoro povero e precario, dalla contrazione della manodopera qualificata, da una crescente difficoltà a incrociare in modo efficace domanda e offerta di lavoro, pregiudicando da un lato le prospettive di crescita delle imprese, dall’altro la ripresa dell’occupazione giovanile e la ripartenza di un ascensore sociale che purtroppo sembra restare fermo al 2008».