San Vito al Tagliamento – In occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria, SanVitoTeatro – rassegna promossa da Comune ed ERT – ospiterà l’unica tappa in regione di Adesso Odessa, spettacolo che Moni Ovadia ha ricavato dal libro dello scrittore ebreo sovietico Isaac Babel: Racconti di Odessa. Lo spettacolo, nel quale l’affabulazione di Moni Ovadia verrà contrappuntata dal violino di Pavel Vernikov, andrà in scena sabato 23 gennaio alle 20.45 all’Auditorium Centro Civico, grazie anche al sostegno della Provincia di Pordenone.
Adesso Odessa è un viaggio fra musica e parole, eterodosso e sfrontato in cui Moni Ovadia e Pavel Vernikov condurranno il pubblico nelle viscere di quella città, perla del Mar Nero, che Babel chiamava “la città schifosa”. Questa leggendaria città, con un po’ di libertà definita la Napoli ebraica del meridione russo, ancora nei primi decenni del Novecento era per metà della sua popolazione composta da ebrei, ed ebraica era la picaresca malavita che aveva il suo quartier generale nel quartiere della Moldavanka. Ebreo fu il grande Utysov, bardo delle canzoni gaglioffe e maledette che celebrano quel mondo di banditi, tagliagole, gigolò, e di donne perdute e di vite dissipate nel gioco e nell’alcool. Ma oltre al talento poetico maliardo della sua malavita, Odessa ha saputo segnalarsi per il suo inarrivabile umorismo ebraico, che non ha eguali neppure fra gli stessi altri ebrei della yiddishkeit, e quella che è stata forse la più grande scuola violinistica di tutti i tempi. Un viaggio nell’espressività virtuosistica della sua passione per la musica classica con la passionalità viscerale delle sue canzoni mascalzone e coniugare le sue anime musicali con witz, storie e racconti di una città eccezionalmente balorda.
Attraverso i racconti di Babel, le canzoni di Utysov, musiche colte e non, Ovadia e Vernikov dipanano un mix di narrazione, canto e cabaret, una fusione di sapienza letteraria, musicale e teatrale condita da quella punta di humour grottesca tipica di molti loro spettacoli, nella quale fa costantemente capolino l’ironia, o meglio l’autoironia, peculiare dell’ebraismo.