Nel convegno di Trieste anche il tema dei rifiuti nelle grotte
Trieste, 14 apr – “Il Friuli Venezia Giulia è la patria della
speleologia mondiale e la legge regionale qui approvata nel 2016
è una delle pietre miliari che servono alle altre Regioni
d’Italia per seguirne le tracce”.
Lo ha affermato il presidente della Società speleologica italiana
Vincenzo Martimucci aprendo a Trieste, insieme alle autorità e al
delegato regionale del Cai Giorgio Fornasier, il convegno
organizzato a Trieste dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalla
Federazione speleologica regionale Fvg nell’ambito di “Speleo
2018”.
Il confronto, che proseguirà anche nella mattinata di domani
all’auditorium del Magazzino delle Idee, tocca molti aspetti
della speleologia: dalle esplorazioni del sistema ipogeo
regionale al catasto delle grotte, dalla ricostruzione della
storia della speleologia regionale alle tecnologie più avanzate
applicate allo studio dei complessi reticolati sotterranei che
interessano il Friuli Venezia Giulia. Tra i filoni proposti dal
convegno, la speleologia come esempio di “citizen science”
(complesso di attività collegate ad una ricerca scientifica a cui
partecipano semplici cittadini) e quindi di “scienza dal basso”.
Scottante il tema delle cavità e dei rifiuti che le riempirono,
in particolare dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, in tempi
di “boom economico” o di scarsa consapevolezza ecologica.
Molte grotte del Friuli Venezia Giulia, come ha spiegato Furio
Premiani, furono stipate di rifiuti che un tempo venivano
bruciati mediante impianti di riscaldamento domestico a legno e a
carbone. Quelle stesse caldaie, una volta sostituite, vennero
spesso scaricate negli abissi. La ripulitura delle cavità ha
richiesto un impegno pesantissimo agli speleologi, “gli unici –
ha ricordato Premiani – che hanno la capacità di scendere nelle
grotte e rimuovere tutto ciò che vi è stato gettato nel corso
degli anni”.
Tra le criticità perduranti, Premiani ha evidenziato il caso
della “Fossa dei Colombi”, nei pressi di Basovizza, dove furono
riversati i residui dell’incendio della Siot, il terminale
triestino dell’oleodotto colpito dall’ attentato di “Settembre
Nero” del 1972. “Lì – ha riferito il presidente della Federazione
speleologica – vanno ancora rimossi rifiuti per uno spessore di
15 metri”.
Il problema delle cavità degradate del Friuli Venezia Giulia è
stato finalmente aggredito nel 2017 con l’allestimento di tavoli
tecnici organizzati dal Servizio geologico della Regione, dai
quali è stato fissato un piano in quattro fasi, che prevede la
raccolta dei dati, la raccolta delle campionature dei residui
fangosi, l’analisi delle sostanze presenti e la scelta delle
ditte specializzate nel recupero e nello smaltimento.
ARC/PPH
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