E’ stato effettuato due mesi fa il primo intervento di de-infibulazione all’Irccs Burlo Garofolo, e la prossima settimana un secondo intervento è in programma. Lo ha annunciato oggi il coordinatore del progetto attivato in FVG un anno fa con fondi regionali e statali, Salvatore Alberico, direttore della S.C. Patologia Ostetrica e Ginecologica. “In entrambi gli interventi, quello già effettuato e andato a buon fine, e quello in programma nei prossimi giorni – ha spiegato Alberico – la de-infibulazione riguarda donne in gravidanza, e viene proposta anche per aumentare le probabilità di un parto vaginale senza complicanze emorragiche e infettive. Ci sono inoltre altri motivi di ordine igienico per cui consigliamo di fare l’intervento”. L’obiettivo è sostenere le donne che hanno subito una mutilazione attraverso interventi di ricostruzione dell’organo genitale, ma soprattutto lavorare dal punto di vista sociale, psicologico e culturale per evitare che altre bambine finiscano vittime di tali rituali. Ad effettuare gli interventi è uno staff con ginecologhe donne per la de-infibulazione, e grande attenzione viene posta all’aspetto psicologico con un sostegno che si mantiene attivo anche dopo l’intervento.
Sono 500 le bambine straniere a rischio mutilazione genitale in Friuli Venezia Giulia. E’ il risultato di un progetto coordinata dall’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, in cui due mesi fa è stato compiuto il primo intervento di deinfibulazione della regione. “Da quello che abbiamo visto la grande maggioranza delle donne che sono arrivate qui dai paesi ‘a rischio’ ha purtroppo già subito l’intervento di infibulazione – spiega il coordinatore del progetto, finanziato dallo Stato e dalla Regione con 80mila euro, Salvatore Alberico – ora stiamo cercando di evitare che la seconda generazione, quella nata qui, subisca le mutilazioni”. Secondo l’indagine, in cui le donne sono state contattate tramite le associazioni di volontari e che ha mostrato un maggior rischio nella provincia di Pordenone, la spinta all’infibulazione viene dai paesi di origine: “La stragrande maggioranza delle donne che vive qui è ormai occidentalizzata, e difende le bambine – spiega l’esperto – ma subisce pressioni dai parenti rimasti nel paese di origine, che chiedono ‘ma quando fai fare l’infibulazione a tua figlià. Non abbiamo mai avuto notizia di infibulazioni effettuate qui in regione, ma spesso le donne approfittano delle vacanze per farla praticare dalle ‘mammane’ nel proprio paese”. Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche tradizionali (la più conosciuta è l’infibulazione) eseguite principalmente in una trentina di Paesi dell’Africa sub-sahariana con propaggini verso il medio oriente, per scopi non terapeutici. Si tratta di interventi che consistono nell’asportazione parziale o totale di alcune parti dell’organo genitale femminile. Le mutilazioni ledono la salute e la vita sessuale delle donne e altissimo è il rischio di emorragie, infezioni, Hiv, aborti, tumori. L’Oms stima che siano già state sottoposte alla pratica 130 milioni di persone nel mondo, e che 3 milioni siano a rischio ogni anno.