Udine 11 ottobre 2011 – «Con impegno, passione e determinazione, ma anche con lo studio si possono sempre raggiungere grandi risultati. Ai giovani ripeto sempre che devono studiare e soprattutto lottare per realizzare i propri sogni. Mai arrendersi, crederci sempre e impegnarsi, e quando inevitabilmente si cade, rialzarsi subito e ripartire veloci». Parola di Mario Collavino, laureato oggi honoris causa dall’Università di Udine in Ingegneria civile; l’uomo che, partito 59 anni fa emigrante vent’enne dal suo Friuli, è oggi il titolare del colosso imprenditoriale canadese – la Collavino Construction Company – cui è stata aggiudicata la commessa per la costruzione della “One World Trade Center – Freedom Tower”, il simbolo della rinascita di Ground Zero a New York.
La vita di Mario Collavino è una storia tra le più esemplari dell’emigrazione friulana del dopoguerra. Nato a Muris di Ragogna (Ud) il 12 giugno del 1932, ottenuta la licenza elementare, Mario inizia a fare il muratore nella scuola serale di San Daniele del Friuli, «e per questo – ricorda – il parroco del paese mi chiamò ad aiutarlo nei lavori di riparazione della chiesetta di San Giovanni in Monte, danneggiata dai bombardamenti della guerra. È uno dei lavori più importanti che ho fatto e ancor oggi ne sono fiero». A 15 anni Mario Collavino lavora a Udine nell’impresa dei fratelli D’Andrea. La fame, la miseria e la mancanza di lavoro aveva intanto spinto tanti giovani a emigrare. Così, anche Mario Collavino, che il 15 aprile 1952 si imbarca a Genova con destinazione Canada e la città di Windsor, nell’Ontario, dove si ritrova con lo zio Giovanni e il fratello Valentino, detto Arrigo.
Nel 1954 Mario e Arrigo si licenziano dalla piccola impresa edile italo-canadese dove lavoravano, a dispetto del documento di immigrazione che prescriveva il lavoro nei campi, e fondano la “Collavino Brothers Construction Company” per lavorare in proprio nel campo dell’edilizia.
«Il primo lavoro – ricorda Collavino – fu un marciapiede in ciottolato; subito dopo arrivarono altri lavori di ristrutturazione e qualche casa nuova. Il lavoro cresceva e cominciammo ad assumere alcuni operai». Negli anni Sessanta, poco più che trentenne, Collavino si accolla i primi lavori “importanti”: scuole, ospedali, grossi complessi di abitazioni. Nel 1964 Mario sposa Maria e la famiglia si allarga con i figli Renzo, Lora, Cynthia e Paolo.
Negli anni Settanta la ditta Collavino realizza grattacieli, ponti e strade in tutto il territorio canadese e statunitense. Nel 1980 l’impresa comincia a espandersi in Egitto, Sri Lanka, Camerun, Kenya e nell’isola Mauritio. Nel 1990 i fratelli Collavino decidono di duplicare l’impresa dividendosi: la produzione dei prefabbricati rimane ad Arrigo, mentre Mario continua con le opere edili insieme ai suoi figli. Nello stesso anno Mario Collavno inizia a lavorare in Yemen, affidando la gestione dell’impresa al figlio Renzo; quindi ad Abu Dhabi, dove lavorerà per 15 anni. Tra gli importanti lavori realizzati In Canada e negli USA, da ricordare gli aeroporti di Pittsburg e Detroit, il Lions Stadium da 50 mila posti e il Tiger Stadium da 45 mila posti, il Borgata Hotel di 50 piani e 2 mila stanze.
«Questi lavori – spiega Collavino – sono stati eseguiti sotto la direzione dei miei figli Paolo e Renzo. Paolo è tuttora incaricato di seguire la costruzione dei lavori in Canada dove in questi anni ha realizzato molti prestigiosi progetti: il centro commerciale di Windsor con uno stadio coperto per 10 mila persone, 4 piste di hockey e pattinaggio, un complesso di 250 ettari di impianti di energia solare, l’edificio scolastico per la facoltà di Ingegneria dell’Università di Windsor».
Il figlio Renzo è, invece, attualmente incaricato di seguire i lavori a New York nella ricostruzione della torre One WTC di Ground Zero. Con i suoi 541 metri di altezza, pari a 1776 piedi, sarà la torre più alta dell’America e la sua altezza di 1776 piedi è stata scelta per ricordare l’anno della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
L’affidamento di questo realizzazione «dimostra – secondo quanto afferma nella laudatio Gaetano Russo, docente di tecnica delle costruzioni – apprezzamento indubbio dell’attività svolta. L’ingegneria dell’“edificio a torre” è il tema di frontiera dell’ingegneria e dell’architettura contemporanea, in quanto l’“infinito dettagliare” si fonde con la sfida costruttiva della grande altezza».
Lectio Magistralis di Mario Collavino
Bundì a ducj e grasie di vê volût partecipâ a cheste prestigjose cerimonie e di onorâmi cu la vuestre presince. A mi plasarès fevelâus par furlan – e cheste Istitusion universitarie a mi permetarès ancje di fâlu – ma par rispièt di chèi ch’a no lu cognossin i continuarai par italian.
E’ un grande onore per me, per la mia famiglia e per tutte le aziende del gruppo Collavino essere oggi qui per ricevere una laurea Honoris Causa quale riconoscimento della mia attività di imprenditore edile esercitata per 60 anni in diverse parti del mondo.
Sono nato a Muris di Ragogna il 12 giugno 1932 in una famiglia che, come tante altre del paese, sopravviveva conducendo una piccola azienda agricola dove anche io dovevo aiutare i genitori nei lavori di casa e nei campi.
Dopo aver fatto le scuole elementari, mia madre mi mandò a imparare a fare il muratore nella scuola serale di San Daniele del Friuli e, per questo, il parroco del paese mi chiamò ad aiutarlo nei lavori di riparazione della chiesetta di San Giovanni in Monte, che era stata danneggiata dai bombardamenti della prima guerra mondiale.
Eravamo nella primavera del ’46 e la gente si alzava alle 3 del mattino per trasportare a spalla, lungo la mulattiera che dal paese arrivava fino sul monte, i sacchi di sabbia, di calce, di cemento, il legname per il tetto, il ferro per le armature, le pesanti pietre dei gradini del coro ed i marmi dell’altare ricavati dalla precedente demolizione della vecchia chiesa di Muris.
La gente del paese faceva a gara per rifornire ogni giorno la squadra dei muratori che lavoravano nella chiesetta e tra di essi, con tanto orgoglio, c’ero anch’io.
Allora avevo quattordici anni e ancora oggi ho davanti agli occhi quella vecchietta di 94 anni che in fila con le altre persone arrivava sul cantiere, salutava, scaricava il suo sacco di sabbia e ripartiva sorridendo.
La chiesetta di San Giovanni in Monte – che ora è chiamata “alpina” perché è stata dedicata agli alpini della Julia naufragati nel 1942 al loro rientro dal fronte greco – è uno dei lavori più importanti che ho fatto. A lei sono molto legato affettivamente e ancora oggi sono fiero di aver contribuito a ricostruirla.
All’età di 15 anni sono andato a lavorare a Udine presso l’impresa dei fratelli D’Andrea, che in quel periodo costruiva villette vicino all’ospedale e nella zona della stazione ferroviaria.
Io ero stato assunto con la qualifica di manovale-muratore.
Partivo da Muris alle 5 di mattina con la bicicletta, poi prendevo il tram che mi portava a Udine e mi riportava a San Daniele intorno alle sette e mezza di sera. Riprendevo la mia bicicletta e rientravo a casa a Muris. Cenavo e poi ritornavo a San Daniele per frequentare la scuola serale di disegno, fino alle ore 23. Finalmente verso mezzanotte ero di nuovo a casa e questa vita vagabonda è durata la bellezza di cinque anni.
Ma ero contento perché vivevo a Muris con la mia famiglia e potevo frequentare tanti amici con cui giocare, andare in giro nel bosco, sul monte, vicino al lago, nel Tagliamento…
La guerra da poco conclusa aveva lasciato il paese nella fame e nelle miseria e non c’era lavoro. Molti giovani del paese avevano deciso di andare a lavorare all’estero e così anch’io pensai di emigrare in Canada, come già aveva fatto mio fratello Valentino (o Arrigo come veniva chiamato da tutti).
Il 15 aprile 1952 sono partito da Genova con destinazione il Canada. La nave lasciava il porto alle 9 di sera accompagnata dal canto sull’emigrante. In quel momento il mio cuore scoppiava ed io ero molto angosciato perché lasciavo i miei genitori e tutti gli amici d’infanzia.
E’ stata per me una esperienza straziante ed io non ho potuto trattenermi dal piangere.
Dopo 11 giorni di mare sono arrivato ad Halifax, nella Nuova Scozia, e dopo aver superato tutte le formalità di sbarco ho potuto prendere il treno per raggiungere Windsor, una città dell’Ontario meridionale che è posta sulle sponde del lago St. Clair, al confine con la città di Detroit e lo stato americano del Michigan.
A Windsor sono andato ad abitare nella casa di mio zio Giovanni dove in seguito mi ha raggiunto mio fratello Arrigo, che già lavorava nei boschi del Nord del Canada.
Dopo qualche giorno, invece di andare a lavorare nelle campagne (come prescriveva il mio documento di immigrazione), mi sono fatto assumere in una piccola impresa edile italo-canadese. Lavoravo 6 giorni alla settimana per pochi soldi e per poter guadagnare qualche dollaro in più cercavo di fare dei lavori extra assieme a mio fratello Arrigo.
Due anni dopo l’arrivo in Canada, nel 1954 mi licenziai e assieme ad Arrigo decisi di fondare una società per lavorare in proprio nel campo dell’edilizia.
Nacque così la Collavino Brothers Construction Company. Subito dopo chiamai in Canada i miei genitori e mia sorella. Abitavamo tutti insieme nella casa dello zio. Io che ero il più giovane dovevo dormire sul divano perché i letti in casa non erano sufficienti per tutti.
Il primo lavoro che abbiamo fatto è stato un marciapiede in ciottolato di pietra naturale e subito dopo sono arrivati altri lavori di ristrutturazioni. Poi abbiamo incominciato a costruire anche qualche casa nuova e dato che il lavoro cresceva abbiamo assunto alcuni operai.
Negli anni 60 abbiamo preso lavori ancora più importanti come la costruzione di scuole, ospedali e grossi complessi di abitazioni.
In quegli anni io avevo poco più di 30 anni e sognavo di diventare un grande impresario per poter avere una bella villa ed una grande macchina.
La casa e la macchina erano due desideri che avevo già in Friuli e in Canada tra le automobili che allora circolavano ce n’erano alcune veramente belle.
Ogni volta che vedevo qualcuna di queste bellissime macchine promettevo a me stesso: “Un giorno mi comprerò anch’io una macchina così e girerò per Windsor”.
E con il tempo, con la buona volontà, con tanti sacrifici e con un po’ di fortuna sono arrivato anch’io ad avere quello che sognavo e quello che tutti sognano da giovani.
Nel 1964 conobbi una signorina di nome Maria, ne fui colpito e la sposai il 31 ottobre dello stesso anno. Grazie a lei sono padre di quattro figli: Renzo, Lora, Cynthia e Paolo.
La nostra ditta andava bene e incominciava a realizzare lavori ancora più importanti quali fognature e impianti di purificazione di acque bianche e nere.
Negli anni ‘70 costruimmo anche molti grattacieli, ponti e strade in tutto il territorio canadese e statunitense.
Nel 1980 l’impresa incominciò ad espandersi in Egitto, nello Sri Lanka, nel Camerun, in Kenya, nell’isola Maurizio. Insomma un vero successo. E tutto questo è stato possibile grazie all’aiuto di mia moglie, Maria, che accudiva ai quattro figli e mi sosteneva in tutto e per tutto. Senza di lei non avrei fatto nulla di quello che ho realizzato. Grazie Maria!
Nel 1990 io e mio fratello decidemmo, di comune accordo, di separarci e così mentre Arrigo si tenne la produzione dei prefabbricati io continuai con la costruzione delle opere edili insieme ai miei figli.
Ormai l’impresa era conosciuta quasi in tutto il mondo e le offerte di lavoro aumentavano ogni giorno.
E così nel 1990 presi un lavoro nello Yemen e per le gestione lo affidai a mio figlio Renzo. Successivamente mi venne offerto di lavorare in Abu Dhabi e lì siamo rimasti per oltre 15 anni.
Importanti lavori sono stati realizzati in Canada e negli USA. I più noti sono stati gli aeroporti di Pittsburg e di Detroit, il Lions stadium per 50.000 spettatori di foot-ball, il Tiger stadium per 45.000 spettatori di baseball, il Borgata hotel Casino con 50 piani e 2000 stanze e tanti altri.
Questi lavori sono stati eseguiti sotto la direzione dei miei figli Paolo e Renzo.
Paolo è tuttora incaricato di seguire la costruzione dei lavori in Canada dove in questi anni ha realizzato molti prestigiosi progetti: il centro commerciale di Windsor con uno stadio coperto per 10.000 persone, 4 piste di hockey e pattinaggio, un complesso di 250 ettari di impianti di energia solare, l’edificio scolastico per la facoltà di Ingegneria dell’Università di Windsor…
Invece Renzo è attualmente incaricato di seguire i lavori a New York nella ricostruzione della torre One WTC di Ground Zero al posto delle due Torri gemelle abbattute l’11 settembre di dieci anni fa. Con i suoi 541 metri di altezza, pari a 1776 piedi, sarà la torre più alta dell’America e la sua altezza di 1776 piedi è stata scelta per ricordare l’anno della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Voglio ricordare a voi che quando ho lasciato l’Italia e il mio Friuli io ero un uomo distrutto e demoralizzato. Spesso piangevo e in certi momenti dicevo a me stesso: “Non ce la faccio più. Ora ritorno in Italia”. Ma poi ci ripensavo e dicevo: “No, devo farcela! Io devo diventare un grande imprenditore”. E con tanta forza di volontà e con tanti sacrifici ho ottenuto ciò che mi ero prefissato e oggi sono orgoglioso e contento di quello che ho fatto. Sarei pronto a rifarlo anche ora.
Se dovessi fare una sintesi, lasciare un messaggio direi che con impegno, passione e determinazione ma anche con lo studio si possono sempre raggiungere grandi risultati! Quello che ho imparato sui banchi della scuola serale è stata una dote preziosa che ho portato oltre Oceano, per questo ai giovani ripeto sempre che devono studiare e soprattutto lottare per realizzare i propri sogni. Mai arrendersi, crederci sempre e impegnarsi e quando inevitabilmente si cade rialzarsi subito e ripartire veloci!
Nella mia lunga attività esercitata sui cantieri mi è capitato di dover affrontare vari problemi, anche tecnici, che si presentavano sui lavori. Consentitemi allora di illustrarvi brevemente qualche lavoro che ho realizzato di mia iniziativa.
Illustrazione su schermo
Prima di concludere voglio ringraziare tutti voi che siete qui presenti oggi: autorità, docenti, personale dell’università, studenti, parenti ed amici.
Ricevo oggi con emozione la laurea honoris causa da questa giovane e prestigiosa università che in soli 33 anni di vita non solo ha raggiunto eccellenti risultati di merito e di qualità, ma ha anche contribuito a cambiare il Friuli, migliorandolo sia sul piano socio-economico sia su quello urbanistico, architettonico e ambientale.
Voglio ringraziare la Prof. Cristiana Compagno, rettore dell’Università di Udine, il Prof. Alberto Felice De Toni, Preside della Facoltà di Ingegneria e tutti i membri della Commissione per aver voluto concedermi questa prestigiosa onorificenza che mi rende particolarmente orgoglioso perché mi viene rilasciata dall’“Universitât dal Friûl”, cioè da quel Friuli che è sempre stato nel mio cuore e nella mia mente.
Grazie al prof. Gaetano Russo, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile, per aver saputo individuare e segnalare con grande professionalità gli elementi che mi hanno fatto conseguire questa laurea in Ingegneria Civile che esalta le mia attività di costruttore edile
Grazie al prof. Elio Cabib, titolare di Analisi matematica nella facoltà di ingegneria civile, per essere stato un promotore di questa onorificenza.
Grazie alla dottoressa Manuela Croatto per aver coordinato le diverse attività che hanno preceduto la celebrazione di questa cerimonia.
Un grazie speciale al prof. Gianfausto Pascoli, o più semplicemente all’amico Gianni, per avermi aiutato a preparare e a sostenere questa straordinaria esperienza. Lo ringrazio anche per aver accompagnato due anni fa, in visita d’istruzione a New York, un gruppo di studenti del Manzini di San Daniele e del Malignani di Udine sul cantiere della Freedom Tower. Ricevere un gruppo di studenti friulani è stata per me un grande emozione e la bandiera del Friuli che mi è stata consegnata in tale occasione sventolerà l’anno prossimo sulla torre più alta di New York e di tutta l’America.
Un grazie particolare anche a mia moglie, Maria, ai miei figli, ai miei generi, alle mie nuore ed ai miei adorati nipoti che mi sono sempre stati vicini col loro sostegno e col loro affetto.
E infine un ricordo affettuoso e riconoscente anche per miei genitori che mi hanno dato la vita e mi hanno insegnato a vivere secondo le loro regole.
Vi saluto tutti e vi porterò sempre nel mio cuore. Mandi! Mario