La perdita di biodiversità nelle foreste per deforestazione, degradazione e cambiamento climatico, provoca una diminuzione della loro capacità di produrre legno quantificabile in oltre 500 miliardi di dollari l’anno. Un importo più che doppio di quanto necessario per attuare efficaci politiche di protezione della biodiversità su scala globale. È quanto afferma una ricerca svolta da un team internazionale, tra cui l’Università di Udine, formato da studiosi di 90 istituzioni di tutto il mondo, coordinato dalla West Virginia University (Stati Uniti). I risultati dello studio sono stati pubblicati oggi dalla rivista scientifica internazionale Science (http://www.sciencemag.org/). Il coordinatore per l’Ateneo friulano è Giorgio Alberti docente di Selvicoltura e gestione forestale del Dipartimento di scienze agro-alimentari, ambientali ed animali.
Secondo la ricerca, la perdita di biodiversità, oltre a influenzare negativamente la produzione legnosa, comprometterebbe la capacità delle foreste di regolare il clima, di tutela idrogeologica e di svolgere un importante ruolo turistico-culturale. I risultati dello studio hanno quindi messo in evidenza la necessità di ricalcolare il valore economico della biodiversità e di individuare nuove strategie di gestione forestale ed efficaci politiche di conservazione.
I ricercatori hanno analizzato oltre 777 mila aree boschive permanenti di 44 Paesi, in Italia nel Friuli Venezia Giulia e Trentino, composte da più di 30 milioni di alberi e 8700 specie diverse, prendendo in considerazione i principali ecosistemi forestali globali: da quelli più a nord, in Siberia, ai più meridionali, in Patagonia; dalle zone più fredde, a Oimyakon in Russia, alle più calde, a Palau, nel Pacifico occidentale; a quelle con maggiori varietà, a Bahia in Brasile.
Circa un terzo della superficie terrestre, pari a quattro miliardi di ettari, è coperta da foreste, ecosistemi che ospitano migliaia di specie di piante, animali e micro-organismi e che sono in grado di fornire beni e sevizi per l’intera umanità.
«Per questo – spiega Alberti – la storia della conservazione della natura e della biodiversità si intreccia profondamente a quella delle foreste, della gestione dei boschi e della selvicoltura. Infatti, il mantenimento e/o il ripristino della biodiversità nelle foreste promuove la loro resistenza alle pressioni antropiche ed è quindi una specie di “polizza assicurativa” a salvaguardia degli effetti dei cambiamenti climatici in atto. In questo senso, quindi, il mantenimento della biodiversità delle foreste ha un effetto positivo sulla loro capacità di resilienza e sulla possibilità che questi ecosistemi continuino ad erogare beni e servizi fondamentali alle future generazioni».
La ricerca, illustrata anche da un video online http://www.minuteearth.com/biodiversity, è stata il primo risultato della Global Forest Biodiversity Initiative (GFBI – http://www.GFBinitiative.org/), un gruppo di studiosi di diverse istituzioni che ha lo scopo di comprendere l’evoluzione e i processi in atto nelle foreste del nostro pianeta.
Oltre all’Università di Udine, gli altri partner italiani dello studio sono la Fondazione “Edmund Mach” di San Michele all’Adige (Trento), il Museo delle scienze (Muse) di Trento, l’Università di Firenze e l’Architecture and Environment Department del gruppo Italcementi.