La primavera calcistica sta per raggiungere il solstizio. Domenica sera ci sarà l’epilogo di quella che, partita con quattro sconfitte di fila, è una delle migliori annate bianconere in serie A. Nel novero dei grandi campionati vanno giocoforza inseriti il secondo posto del 1954/55, sotto la guida di Giuseppe Bigogno, il terzo del 1997/98, firmato Alberto Zaccheroni, e il quarto del 2004/05 raggiunto con Spalletti, che qualificò la società dei Pozzo per la prima volta alla Champions League. In due occasioni su tre il Milan ebbe un ruolo significativo nel destino delle zebrette. Va escluso l’anno d’oro udinese di Zac, ricordato dalle parti di via Turati più che per il decimo posto finale firmato Capello per il congedo di “Ginko” Monti, storico medico sociale e angelo custode del Nereo Rocco dei bei tempi. A metà anni cinquanta invece furono proprio i rossoneri di Liedholm e Nordahl a sopravanzare Selmosson e compagni in classifica, negando la gioia di uno scudetto che non è stato mai più così vicino alla Piccola Patria. Nella stagione in cui al timone c’era il tecnico di Certaldo fu proprio il Diavolo a tenere a battesimo, esattamente all’ultimo turno, l’ingresso dei friulani nella coppa più prestigiosa. La situazione che si presenta domenica sera ricorda molto quella di sei anni fa, ma, come si sente ripetere dal passato fine settimana, Gattuso e soci non verranno di certo a recitare la parte dei figuranti. Si giocherà in notturna, lo stadio sarà esaurito e carico di aspettative, la squadra verrà schierata al gran completo con tutti i suoi effettivi. Per godere appieno di un piatto così succulento manca soltanto l’ingrediente finale, tanto prezioso quanto desiderato.
LO SCHIERAMENTO: Complimenti ad “Acciughino” Allegri. La vittoria dello scudetto celebra anche le doti del tecnico quarantatreenne, fra i più giovani (superato dal Mancini bauscia) a vincere il titolo di campione d’Italia da quando la vittoria vale tre punti (il record assoluto spetta all’ebreo ungherese Arpad Weisz, campione nel 1929/30 con l’Ambrosiana Inter a sole trentaquattro primavere). Il livornese merita tutti gli elogi del caso, specialmente per la duttilità (poco diffusa fra i colleghi) con la quale ha saputo plasmare i suoi. Il punto di svolta della stagione è di sicuro l’incontro di San Siro con la Juventus di sabato 30 ottobre. L’ex fantasista del Pescara, dopo la débâcle casalinga, abbandonò i propositi di tridente, passando in via definitiva a un più equilibrato schieramento a tre mediani con un trequartista. Con lo stesso schema (4-3-1-2) affronterà l’ultima gara dell’anno, mettendo in campo, secondo numerose fonti, l’undici maggiormente competitivo. Probabile formazione: Abbiati; Abate, Nesta, Thiago Silva, Zambrotta; Gattuso, Van Bommel, Boateng; Seedorf; Pato, Ibrahimovic.
IL CRACK: Quando si ha a che fare con le nutrite e nobili rose di un club come quello meneghino la scelta del migliore dovrebbe diventare piuttosto impegnativa. In questo caso, al contrario, le difficoltà consistono nell’attribuire il giusto merito a un atleta dal valore enorme, capace di coniugare forza ed eleganza, tecnica e sagacia. Non si tratta del neo fidanzatino Pato o dell’Ibrahimovic gradasso in campionato e timorato della dea Europa, ma di Clarence Seedorf. Trasferitosi ad Amsterdam dalla natia Paramaribo, capitale della vecchia colonia olandese del Suriname, si è formato nella celebre scuola calcio dell’Ajax, imponendosi giovanissimo in prima squadra. A diciannove anni, fresco della prima vittoria in Champions League (ne seguiranno altre tre), abbandona i lancieri iniziando un lungo peregrinare per i campi continentali, che lo porterà a vestire le casacche di Sampdoria, Real Madrid, Inter e Milan. Quella del Friuli, con tutta probabilità, sarà la sua ultima apparizione in rossonero. Conoscendone lo smalto e la professionalità farà di tutto per comportarsi al meglio. Un altro dei tanti motivi per cui, per quanto starnazzi Lotito, si tratterà di partita vera.
Nicola Angeli