“Cinquant’anni fa il Vajont. Una tragedia che, la sera del 9 ottobre 1963, portò distruzione e morte tra le popolazioni che vivevano al confine tra Veneto e Friuli. In pochi attimi paesi interi furono spazzati via. Un disastro ambientale causato dall’opera dell’uomo. Molte e pesanti furono le responsabilità per una tragedia che si poteva evitare se la ricerca del profitto non fosse stata messa davanti alla tutela della sicurezza e della vita di migliaia di persone innocenti”. Lo afferma il segretario del Pd, Guglielmo Epifani. “Anche la giustizia non ha fatto il suo corso e, forse, è il risarcimento negato che più pesa sulle popolazioni colpite. Insieme ad un’attenzione che per troppi anni è mancata, come se una tragedia così grande potesse conoscere l’oblio. Una ferita aperta che può essere lenita da un ricordo non retorico, ma partecipato affinché queste tragedie non abbiano più ripetersi. Nel tempo, è cresciuta nel nostro Paese la consapevolezza di perseguire un modello di sviluppo sostenibile, che non neghi il progresso ma che lo renda compatibile con il rispetto della natura. La memoria infine è la ricerca incessante di chi rimane, è qualcosa che resta nella mente di chi partecipò ai soccorsi, e un Paese perde il senso di sé, della sua storia, se non ha la capacità di fermarsi a condividere il ricordo”, conclude
“Cinquant’anni fa il Vajont. Una tragedia che, la sera del 9 ottobre 1963, portò distruzione e morte tra le popolazioni che vivevano al confine tra Veneto e Friuli. In pochi attimi paesi interi furono spazzati via. Un disastro ambientale causato dall’opera dell’uomo”. Così il segretario nazionale del Pd, Guglielmo Epifani, in una nota ricorda i 50 anni della tragedia del Vajont . “Molte e pesanti furono le responsabilità per una tragedia che si poteva evitare se la ricerca del profitto non fosse stata messa davanti alla tutela della sicurezza e della vita di migliaia di persone innocenti – prosegue Epifani -. Anche la giustizia non ha fatto il suo corso e, forse, è il risarcimento negato che più pesa sulle popolazioni colpite. Insieme ad un’attenzione che per troppi anni è mancata, come se una tragedia così grande potesse conoscere l’oblio”. “Una ferita aperta che può essere lenita da un ricordo non retorico, ma partecipato affinché queste tragedie non abbiano più ripetersi – aggiunge -. Nel tempo, è cresciuta nel nostro Paese la consapevolezza di perseguire un modello di sviluppo sostenibile, che non neghi il progresso ma che lo renda compatibile con il rispetto della natura”. “La memoria infine è la ricerca incessante di chi rimane – conclude Epifani -, è qualcosa che resta nella mente di chi partecipò ai soccorsi, e un Paese perde il senso di sé, della sua storia, se non ha la capacità di fermarsi a condividere il ricordo”