Nel 2016 il lavoro accessorio ha riguardato 63mila persone in Friuli Venezia Giulia (+10,7% rispetto al 2015) e 1,8 milioni in tutta Italia (+18,1%), numeri che confermano la notevole portata assunta dal fenomeno. Un 2016 in cui in regione sono stati venduti poco più di 6 milioni di buoni lavoro dal valore nominale di 10 euro (contro i 5 milioni del 2015), mentre quelli riscossi sono stati 5,9 milioni (pari al 98% di quelli venduti). Lo rileva il ricercatore dell’Ires Fvg Alessandro Russo sulla base dei dati Inps diffusi a livello nazionale.
Come è noto solo pochi giorni fa è stato approvato anche dal Senato il decreto legge che abroga i voucher. Nella nostra regione i prestatori di lavoro accessorio sono stati in gran parte giovani (quasi la metà ha meno di 35 anni) e donne (sono il 56,9%). La quota femminile impegnata in attività retribuite con i buoni lavoro nel 2016 si è dimostrata peraltro la più elevata a livello nazionale dopo la Valle d’Aosta (la media italiana è risultata pari al 52,2%). La componente femminile risulta maggioritaria in tutti settori, tranne che nelle attività agricole e nell’ambito del giardinaggio e delle pulizie.
Il numero medio di voucher riscossi per lavoratore ammonta a 94, che equivalgono a un compenso netto di 700 euro all’anno; per le donne tale valore sale a 720 euro (pari a 96 buoni). Si tratta dell’importo più elevato tra le regioni italiane dopo quello registrato in Trentino Alto Adige (in media 97 voucher per lavoratore), un dato che indica un utilizzo “intensivo” dello strumento in Fvg. Agli ultimi posti si trovano prevalentemente le regioni del Sud, in particolare Molise, Calabria e Puglia con medie inferiori a 50 buoni lavoro.
Negli ultimi anni, inoltre, sia a livello regionale che nazionale il numero medio di voucher riscossi è aumentato: nel 2013 in Friuli Venezia Giulia si attestava infatti a 75 (pari a circa 560 euro netti), in Italia a 60 (pari a 450 euro netti).
Per la prima volta l’Inps fornisce anche la distribuzione a livello regionale dei lavoratori per classi di voucher riscossi; in base a tali dati si può rilevare che nel 2016 il 67,5% dei prestatori (in Italia il 75,2%) ha riscosso meno di 100 voucher (pari a 750 euro netti), mentre solo il 4,2% (a livello nazionale il 2,6%) ha incassato più di 300 buoni (pari a 2.250 euro netti). Da questo punto di vista si può osservare che l’innalzamento del limite massimo del compenso che un lavoratore può guadagnare nell’anno in voucher da 5.000 a 7.000 euro, introdotto dal Jobs Act (con il decreto legislativo 81 del 15 giugno 2015), ha avuto un impatto decisamente trascurabile.
Per quanto riguarda i settori ai primi posti si confermano le attività turistiche e il commercio (anche se in quest’ultimo caso si è verificata una diminuzione dei lavoratori pari a -5,9%), che assieme nel 2016 hanno impiegato circa un terzo dei prestatori totali; l’incremento maggiore rispetto all’anno precedente si è invece registrato nell’ambito del lavoro domestico (+41,7%).
Infine l’Inps fornisce anche il dato relativo alla cittadinanza del lavoratore: sempre nel 2016 in regione nel 91% dei casi si è trattato di cittadini comunitari, un’incidenza analoga a quella nazionale.
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